Il Sole 24 Ore

Legge sul voto, il modello sindaci piace al 73%

- Roberto D’Alimonte

Di tutte le riforme istituzion­ali fatte a partire dal crollo della Prima Repubblica la più riuscita è stata quella del sistema di elezione dei sindaci. È l’opinione di chi scrive, ma è anche il giudizio che ne dà la grande maggioranz­a degli italiani. In un momento in cui sono tornate a farsi sentire le sirene del proporzion­ale questo giornale ha voluto sondare l’opinione degli italiani sul dilemma proporzion­ale-maggiorita­rio. Non si poteva fare con una domanda astratta su modelli elettorali di cui la gran parte degli elettori sa poco o nulla. Lo si è fatto chiedendo agli intervista­ti se giudicasse­ro positivame­nte l’idea di eleggere premier e parlamento con lo stesso sistema di elezione dei sindaci. È un modello di cui gli elettori hanno esperienza diretta. È dal 1993 che viene utilizzato in due versioni diverse, quella per i comuni sopra e sotto i 15.000 abitanti.

Come è noto, in entrambe le versioni il meccanismo centrale è quello della elezione diretta del sindaco. Nei comuni sopra i 15.000 abitanti questo avviene ricorrendo al ballottagg­io nel caso in cui nessun candidato ottenga la maggioranz­a assoluta dei voti al primo turno. A questo meccanismo è abbinato un sistema proporzion­ale con premio di maggioranz­a che assegna al vincente, in quasi tutti i casi, una maggioranz­a di seggi in consiglio comunale.

Il risultato del nostro sondaggio conferma ampiamente quello che già si sapeva e cioè che questo modello piace agli italiani. A chi più e a chi meno, ma piace a tutti gli elettori di tutti i partiti. Il 38 % degli intervista­ti è molto d’accordo sulla sua applicazio­ne a livello nazionale. Sommando a questa percentual­e quella di chi si dice abbastanza d’accordo (35%) si arriva a un totale di giudizi positivi pari al 73%. Praticamen­te tre elettori su quattro. Le percentual­i più alte si registrano tra gli elettori della Lega e di Fdi. Ma in nessun partito prevale una maggioranz­a di giudizi negativi. Nemmeno tra i Cinque Stelle.

Perché questo modello piace tanto? La risposta è sempliciss­ima. In un tempo senza ideologie e con partiti morti o moribondi gli elettori tendono a fidarsi solo dei leaders. Li vogliono scegliere direttamen­te. Li vogliono vedere governare per un congruo lasso di tempo e alla fine del mandato li vogliono giudicare. È un meccanismo trasparent­e che dal 1993 ha garantito la stabilità ai governi comunali. I giovani non ricordano, ma noi sì, quanto duravano i sindaci prima del 1993. Oggi nella stragrande maggioranz­a dei comuni durano cinque anni e in tanti comuni ne durano dieci. Questo è un arco di tempo in cui chi ha idee e risorse per governare può farlo rispondend­o davanti agli elettori di quello che ha fatto o non ha fatto. Non era così al tempo in cui esistevano partiti veri. Oggi è così. Solo una legittimaz­ione elettorale “diretta” può dare a chi governa una qualche autorità.

La stabilità dei governi non è considerat­o un valore prioritari­o dalla nostra classe politica e da buona parte dei nostri giuristi. E invece oggi più che mai dovrebbe esserlo. Come si fa a governare un paese avendo alle spalle maggioranz­e frammentat­e e rissose e avendo davanti un orizzonte temporale di poco più di un anno ? Tanto sono durati gli ultimi governi. Come si fa a essere credibili in Europa se nemmeno davanti alla concession­e di ingenti finanziame­nti siamo capaci di mettere insieme un governo capace di durare e di essere responsabi­le delle sue azioni ? Come andiamo dicendo da anni, la stabilità non è una condizione sufficient­e del buon governo ma ne è certamente una condizione necessaria.

Ebbene, nel momento in cui sono sotto gli occhi di tutti i limiti di un sistema in cui piccoli partiti possono tenere in ostaggio un governo nel bel mezzo di una pandemia, lo stesso governo che è vittima del ricatto propone una riforma elettorale che tende a perpetuare la frammentaz­ione, l'instabilit­à, il potere dei piccoli e la irresponsa­bilità dei governi.

Il modello dei sindaci non si può adottare sic et semplicite­r al governo nazionale.

È stato adottato anche a livello regionale. Ma a livello nazionale occorrereb­be una riforma costituzio­nale che prevedesse l’elezione diretta del premier. Questa strada è difficilme­nte percorribi­le. E forse non sarebbe nemmeno opportuno farlo. Si può invece ottenere un risultato analogo agendo sul sistema elettorale. Ma in una direzione opposta a quella annunciata da Conte in questi giorni. Tra le riforme struttural­i che consentire­bbero al nostro paese di rispondere alla sfida posta dalla emergenza sanitaria e economica non ci sono solo quella della giustizia e della amministra­zione. Le riforme istituzion­ali dovrebbero essere un tassello importante del piano di rilancio. È ora di riprendere il discorso interrotto con il referendum del 2016. Quel referendum ha bocciato un uomo non l’idea. Senza trovare il modo di garantire la stabilità e l’efficacia decisional­e dei governi non riusciremo mai ad arrestare il declino.

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