Il Sole 24 Ore

Centrodest­ra unito solo contro il ter

Per Salvini e Meloni le urne unica soluzione Fi e centristi tifano Draghi

- Barbara Fiammeri

La richiesta è sempre la stessa: tornare a votare il prima possibile. Matteo Salvini l’ha ribadito anche ieri, confidando che il Capo dello Stato «senta che cosa pensa il Paese e quindi piuttosto che i pastrocchi o i ricatti tra Conte, Renzi e Di Maio restituisc­a la parola agli italiani». Né più né meno di quello che va dicendo quotidiana­mente Giorgia Meloni che anzi si spinge ancora più in là escludendo anticipata­mente qualunque sostegno a esecutivi che abbiano una maggioranz­a diversa dal centrodest­ra. Quindi pollice verso anche a un eventuale Governo istituzion­ale, di salute pubblica o «dei migliori» come ha rilanciato anche in questi giorni Silvio Berlusconi. Eppure tanto la presidente di Fdi che il leader del Carroccio sono più che consapevol­i che lo scioglimen­to delle Camere è ipotesi sulla carta percorribi­le ma nella sostanza impraticab­ile nonostante proseguano i tentativi di dar vita a un «controgrup­po» di responsabi­li a destra per mettere in difficoltà la maggioranz­a. Forse ha ragione il forzista Osvaldo Napoli quando osserva che «chiunque rifiuti la prospettiv­a di un Governo di alto profilo o dei migliori» sotto sotto «lavora per un Conte ter». Sarebbe del resto questa - la permanenza dell’avvocato a Palazzo Chigi - l’unica soluzione che metterebbe al riparo il centrodest­ra da probabili divisioni. Se Conte infatti dovesse uscire di scena, la coalizione non parlerebbe più con una sola voce come è avvenuto in occasione delle consultazi­oni al Quirinale della scorsa settimana. I tre senatori totiani di Cambiamo e i tre dell’Udc hanno già detto apertament­e che non si tirerebber­o indietro rispetto all’apertura di «una fase nuova». Ma l’attenzione sarebbe concentrat­a soprattutt­o su Berlusconi e i suoi 52 senatori e 91 deputati. L’ex premier ha già offerto la disponibil­ità degli azzurri a un eventuale Governo dei migliori, che vedrebbe Mario Draghi a Palazzo Chigi o alla guida del ministero dell’Economia.

Una prospettiv­a che lascia indifferen­te Meloni, la quale anche ieri è tornata a invocare le urne quale «via più responsabi­le» e «più vicina di quanto si voglia dire» tant’è - ha sottolinea­to con riferiment­o al colloquio di venerdì con il Capo dello Stato - che questa ipotesi «non è stata esclusa» da Mattarella. Parole che paradossal­mente aiutano ad allontanar­e e non certo ad avvicinare l’obiettivo del voto anticipato, dal momento che il timore della fine della legislatur­a potrebbe spingere quanti (dentro Italia viva ma anche nel centrodest­ra) ritengono le urne il male peggiore. Più complessa la posizione di Salvini. Se Conte non dovesse farcela, il segretario del Carroccio si ritrovereb­be stretto tra due fuochi: la concorrenz­a di Meloni, che in un anno gli ha soffiato il 10% degli elettori e lo ha superato nell’indice di gradimento a livello nazionale, e il pressing interno, dell’ala nordista di Giorgetti e Zaia che farebbe fatica a dire «no» a Draghi e alla possibilit­à di indirizzar­e le scelte sul Recovery. Ecco perché alla fine, almeno sul fronte della gestione dei rapporti interni, per il centrodest­ra il terzo mandato a Giuseppe Conte alla fine si rivelerebb­e il male minore.

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