Dalle piazze al tribunale, riaperta la sfida tra Navalny e il Cremlino
«La meravigliosa Russia del futuro» è il progetto politico di cui Aleksej Navalny ha parlato in dicembre - poco prima del ritorno in patria e dell’arresto - con l’economista Serghej Guriev. Conversazione che la rivista francese Le Grand Continent propone, in diverse lingue, dal momento che ora Navalny «non può parlare».
La Russia di oggi, dice Navalny, «è un regime autoritario situato in Europa, ma senza i punti di forza di un normale Stato europeo. La maggior parte dei Paesi a ovest della Russia sono più ricchi di noi e hanno un sistema educativo migliore. In Russia, 25 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Il nostro Paese è gigantesco, e tutto il potere èc concentrato on centra ton nelle elle mm ani ani di un solo uomo. È ovvio che un sistema fatto in questo modo non può funzionare».
Sotto la neve, e sotto la minaccia dei sistemi sempre più brutali utilizzati dalle forze dell’ordine, i russi che domenica sono tornati a manifestare in diverse città russe hanno ripetuto quelle stesse parole. Chiedono la liberazione di Navalny, giustizia e democrazia: ma la protesta appare sempre più alimentata dalla rabbia di chi - anche grazie a Navalny e ai suoi filmati di denuncia della corruzione popolarissimi su YouTube - si sente privato del diritto di determinare il proprio futuro.
Perché siete qui?, chiedono i giornalisti. «Non per tirare pietre - spiega un signore intervistato dal canale Dozhd -, ma perché viviamo nella povertà e siamo indignati, queste ingiustizie durano da troppo tempo». «Non si può più stare ai margini», aggiunge un altro, mentre una signora conferma quanto sembra sempre più evidente: queste persone non hanno più paura. «Sono contro l’FS-B!», scandisce gridando la sigla dei servizi di sicurezza eredi del Kgb.
I modi della polizia, che domenica ha usato lacrimogeni e bastoni Taser a scarica elettrica, testimoniano la preoccupazione che il risveglio della protesta suscita nel Cremlino. Che non sembra disponibile a stare a vedere quanto può crescere quella che l’economista Evghenij Gontmakher ha definito «una valanga innescata da Navalny», prima di diventare davvero pericolosa per la tenuta del sistema facendolo scricchiolare.
Ovd-Info, l’organizzazione che sta monitorando il numero degli arresti, segnala che domenica con più di 5.300 fermi la polizia ha battuto un nuovo record. Mentre il ministero degli Esteri alza i toni con gli Stati Uniti che con il nuovo segretario di Stato Antony Blinken hanno duramente condannato le repressioni: «Grosse interferenze negli affari interni della Russia - attacca il Mid -, un fatto dimostrato tanto quanto la promozione di fake news e inviti a partecipare a manifestazioni non autorizzate da parte di piattaforme online controllate da Washington».
Il legame che il Cremlino fissa tra protesta e una regia straniera complica notevolmente l’impegno di Josep Borrell, in visita a Mosca dal 4 al 6 febbraio mentre si moltiplicano le richieste di nuove sanzioni contro i russi. Non ultima quella del segretario di Stato francese per gli Affari europei, Clement Beaune, tornato a chiedere alla Germania di fermare il progetto Nord Stream 2 malgrado lo stesso Navalny abbia chiesto più volte di mettere nel mirino gli esponenti del regime legati a Putin, non i progetti.
Ma questo Navalny non potrà dirlo direttamente a Borrell. Oggi quello che sta diventando di fatto il punto di riferimento principale dell’opposizione russa comparirà in tribunale: la procura generale ha già definito «legittima e giustificata» la richiesta delle autorità penitenziarie di trasformare in condanna reale i tre anni e mezzo di carcere lasciati in sospeso nel 2014. Paradossalmente, quanto più si diffonde la protesta, tanto più pericoloso Navalny apparirà al Cremlino. Quella di oggi rischia di non essere l’ultima condanna.
L’accusa si è già detta favorevole a commutare in 3,5 anni di carcere reale la condanna sospesa