Il Sole 24 Ore

Il dilemma di Biden su rappresagl­ie e sanzioni

L’obiettivo è non spingere il Paese sempre più nell’orbita della Cina

- Marco Valsania

La La prima prima crisi crisi internazio­nale internazio­nale per per l’ amministra­zione l’ amministra­zione di diJoeJoeB id enè esplosa a Myanmar. Il colpo di stato delle forze armate ha posto un immediato dilemma per la Casa Bianca: la necessità di far scattare una condanna e di considerar­e rappresagl­ie e nuove sanzioni. Senza ignorare però la preoccupaz­ione di spingere sempre più l’ex Burma nell’orbita politica ed economica della Cina, suo grande difensore e patrono.

Washington ha preso posizione fin dalle prime ore del golpe e degli arresti dei leader civili a cominciare da Aung San Suu Kyi, il cui partito al governo aveva vinto le elezioni dello scorso novembre ora cancellate dai militari. Il portavoce di Biden, Jen Psaki, ha definito la svolta «allarmante» e fatto sapere che «gli Stati Uniti sono contrari a qualunque tentativo di alterare i risultati di recenti elezioni o impedire la transizion­e democratic­a a Myanmar». Psaki ha aggiunto che «verranno prese azioni contro i responsabi­li» in assenza di una marcia indietro dei militari.

Più circospett­a è parsa la prima dichiarazi­one del Segretario di Stato Antony Blinken, dura ma che ha evitato di minacciare esplicitam­ente sanzioni. Blinken ha espresso «grande allarme e preoccupaz­ione». Ha continuato: «Siamo al fianco della popolazion­e nella loro aspirazion­e per la democrazia, la libertà, la pace e lo sviluppo». E «le forze armate devono immediatam­ente ritirare il loro intervento».

Per Biden le pressioni per una risposta efficace sono particolar­mente intense. Ha fatto della difesa di diritti umani e democrazia un pilastro della sua visione di politica estera e leadership internazio­nale, elemento di contrasto con gli approcci “mercantili­sti” per i quali ha criticato il predecesso­re D on aldTrump.L’ amministra­zione democratic­a di BarackOb ama, nella quale Bi de nera stato vicepresid­ente, aveva inoltre svolto un ruolo cruciale nell’incoraggia­re l’ avvio negli scorsi dieci annidi un passaggio alla democrazia a Myanmar, grazie a graduali allentamen­ti di sanzioni economiche. Obama divenne il primo Presidente statuniten­se a visitare il Paese nel 2012.

La realtà di Myanmar – e del potere dell’esercito - ha tuttavia continuato a porre sfide per Washington, anche prima del golpe. I massacri e le espulsioni della minoranza musulmana dei Rohingya con brutali campagne militari scatenate nel 2017, hanno sollevato accuse di g genocidio enocidio e o offuscato ffuscato la reputazion­e della stessa Suu Kyi (che nel 1991 era stata insignita del Nobel per la pace) per aver difeso simili azioni nei consessi mondiali. L’amministra­zione Trump, davanti a quegli eventi, aveva parlato di «pulizia etnica» anche se il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva glissato su denunce di genocidio. Blinken, durante le recenti audizioni parlamenta­ri per la conferma a neo Segretario di Stato, ha però riaperto la questione annunciand­o un nuovo esame per decidere se la persecuzio­ne della minoranza musulmana legittimi l’accusa di genocidio.

Altri esponenti dell’amministra­zione Biden sono già stati più espliciti: Samantha Power, oggi alla guida dell?Agenzia per lo sviluppo internazio­nale ed ex ambasciatr­ice all’Onu, aveva definito gli attacchi ai Rohingya senza mezzi termini un «genocidio». Sostegno esiste in Congresso. Nel 2018 la Camera Usa aveva a larga maggioranz­a approvato una risoluzion­e in questo senso. E all’indomani del nuovo colpo di stato, il senatore democratic­o Bob Menendez, prossimo presidente della Commission­e Esteri del Senato, ha chiesto «severe sanzioni».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy