Negli Usa svolta digitale accelerata dal lockdown
Gli organizzatori americani di eventi hanno anticipato i piani online attuando in sei mesi le strategie che erano state programmate a due anni - Il supporto dell’Ice agli espositori italiani
Da spazio espositivo più esteso della East Coast a ospedale Covid-19, fino a centro vaccinale più grande d’America, mentre le gru tutt’intorno costruiscono la sua espansione. Il Javits Center di New York è l’emblema del settore fieristico americano. Il 4 e 5 marzo 2020 ospitava Vinexpo, con i 400 espositori terrorizzati dall’espansione pandemica e molti italiani che avevano annullato la partecipazione. Di lì a due settimane sarebbe stati imposti la chiusura dei business non essenziali e il divieto di eventi con più di 50 persone.
Il 30 marzo il centro riapriva, con 1.200 posti letto creati a tempo di record dall’esercito, ma a maggio richiudeva. Poi il buio e perdite dirette per 100 milioni, per mancati eventi, e indotto da un miliardo di dollari all’anno azzerato. Nel gennaio 2021 la riapertura come grande centro vaccinale di massa. Ma le gru tutt’intorno lavorano, all’ombra dei nuovi grattacieli degli Hudson Yards, al piano di espansione da 1,5 miliardi di dollari: il nuovo Javits Center risorgerà entro la fine dell’anno con spazi aumentati del 50%, terrazze piantumate e persino una fattoria sul tetto. Perché l’America è così: investe e lavora senza sosta, persino nella New York desertificata da un anno, senza turisti e con poco business.
Questa storia è essenziale per capire lo stato del settore fieristico americano a inizio 2021. La lotta alla pandemia da coronavirus resta la priorità, soprattutto ora con il nuovo presidente Joe Biden, ma si continua a lavorare per farsi trovare più forti di prima quando l’emergenza sarà passata.
Il comparto riveste un’importanza strategica. Quello nordamericano è il primo mercato fieristico mondiale, secondo l’Unione fiere internazionali: per spazio, numero di espositori e spesa diretta (oltre 50 miliardi di euro nel 2019 contro i 40 dell’Europa). Si stima che eventi ed expo generino, in anni normali, ben 110 miliardi di euro all’anno di spesa da parte di espositori e visitatori. La chiusura forzata delle attività, da metà marzo 2020 a oggi, ha avuto un impatto forte non solo sul comparto, ma anche sulle città dei grandi poli espositivi. Il sistema ha retto grazie agli ingenti fondi del Cares act e ora del nuovo Relief bill (per complessivi 3.100 miliardi di dollari di aiuti all’economia). E sta restituendo alla comunità parte di quanto ricevuto, con generosità. Oltre al Javits center, sono diventate mega centri vaccinali diverse fiere importanti, come quelle di Portland, nell’Oregon, (che ha anche ospitato senzatetto per tenerli lontani dal rischio di infettarsi per strada), di Milwaukee, nel Wisconsin, di Orlando, in Florida, e di Atlantic city, nel New Jersey.
Ma zero eventi non vuol dire zero attività. Anzi, dopo lo shock iniziale, negli ultimi sei mesi il settore fieristico americano ha realizzato forse il più ambizioso piano della sua storia: la svolta digitale. In sei mesi molti operatori hanno portato a compimento le strategie di creare piattaforme fieristiche virtuali B2B, il cui lancio era previsto entro due anni. Secondo un sondaggio del Center for exhibition industry research, il 68% degli operatori intervistati ha accelerato i piani digitali per il Covid-19, il 78% prevede di continuare a utilizzare la piattaforma virtuale anche al termine della pandemia, da affiancare ai padiglioni fisici, e il 62% segnala che manterrà personale dedicato alle fiere online anche sul lungo periodo.
Un esempio eclatante su questo fronte è rappresentanto dall’operatore Informa market, che nel settembre 2020 ha lanciato l’edizione digitale delle sue fiere fashion (Coterie, Project, Magic, Micam Americas), portandole sulla piattaforma NuOrder che consente non solo di sfogliare i cataloghi, assistere a sfilate e organizzare seminari e networking ma anche di effettuare ordini e transazioni, su una robusta infrastruttura che connette più di 2.500 brand e 500mila retailer.
Dal 16 febbraio, per un mese, questa è la modalità di svolgimento della fiera Coterie, che riveste una discreta importanza per il made in Italy. L’Ice (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), sostiene la partecipazione di una sessantina di aziende del nostro Paese a Coterie Digital. Gli uffici americani dell’Ice, coordinati da un direttore di grande esperienza come Antonino Laspina (coadiuvato da Paola Guida per il settore Beauty and Fashion), stanno accompagnando le imprese italiane nella transizione digitale del settore fieristico. Per il comparto beauty è stato varato anche un progetto di photo shooting per superare il gap digitale, purtroppo molto diffuso, e consentire alle aziende di affacciarsi con un’immagine adeguata sui portali. Di rilievo la piattaforma digitale ExtraItaStyle (acronimo di Extraordinary Italian style), che ospita al momento 130 aziende di moda e accessori, in rapido aumento, su un sito di grande appeal integrato ai social media.
E le fiere fisiche? Riprenderanno più forti di prima, c’è da scommetterci. Per il made in Italy, fra le prime esposizioni interessanti - sostenute dall’Ice, che può coprire le spese di stand ed eventi - ci saranno The Chicago collective (per la moda uomo, ora fissata dall’8 al 10 agosto), Jck di Las Vegas (gioielleria, 2730 agosto) e Fancy Food Show di New York (alimentare, dal 27 al 29 settembre). Covid permettendo. E sempre a patto che si allentino le restrizioni attuali sui viaggi, sulla quarantena all’arrivo su suolo americano e sui visti, inasprite dalla presidenza Biden per contrastare l’avanzata della pandemia. Ma il nuovo presidente ha anche promesso un grande piano di investimenti infrastrutturali e green. E i quartieri fieristici saranno in prima fila per rimodernarsi, digitalizzarsi ed espandersi. Come il Javits center di New York.
Il comparto fatturava 50 miliardi di euro nel 2019 e generava 110 miliardi di spesa da parte di espositori e visitatori