Diversa efficacia ma il modello è coerente
Arrivati a tre vaccini anti-Covid autorizzati, che hanno però un’efficacia diversa, la domanda è lecita: perchè dovrei vaccinarmi con il preparato meno potente? Per rispondere dobbiamo tornare alla primavera scorsa, quando la Food and drugs administration (Fda) affermava che un vaccino doveva essere efficace anche solo al 50 per cento, almeno da proteggere dalle forme di Covid più gravi.
Poi, arriva l’autunno, e con esso i dati degli studi sui vaccini di Pfizer e di Moderna, che hanno dimostrato un’efficacia rispettivamente del 95% e del 94%. Da lì, crescono le aspettative creandone di nuove. Così, i risultati ottenuti da altri studi sui vaccini anche se buoni, in qualche misura, se confrontati, “deludono”: il vaccino di AstraZeneca mostra un’efficacia del 70%; Novavax raggiunge l’89% di efficacia nel Regno Unito, ma solo il 49% in Sud Africa; e Johnson & Johnson ha dimostrato un’efficacia del 66% contro infezioni moderate e gravi. Questi numeri, però, non sono direttamente confrontabili perché gli studi sono stati eseguiti in paesi diversi, con protocolli leggermente diversi, contro un virus che nel frattempo era già cambiato, come dimostra la minore efficacia nei risultati del Sud Africa correlati alla nuova variante del coronavirus.
Però dietro queste diverse percentuali di efficacia, c’è un modello coerente: tutti i vaccini si sono dimostrati molto efficaci nel prevenire le forme gravi e la mortalità da Covid19. Che era l’obiettivo originale dei vaccini, ed è e rimane ancora il più importante. In altre parole, significa che chi senza vaccino è destinato ad avere bisogno del ricovero in ospedale, se vaccinato potrebbe avere solo una lieve infezione. E questo vale per tutti i vaccini autorizzati.
Quindi, anche l’efficacia più bassa - come il 49% contro la variante sudafricana - è più o meno paragonabile all’efficacia del vaccino antinfluenzale. E prima che i risultati dei vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna aumentassero le aspettative, gli scienziati speravano proprio in una copertura simile al vaccino antinfluenzale.
Secondo Kelly Moore, vicedirettore della Immunization Action Coalition, un'organizzazione no profit che lavora con i Cdc e altri sulla diffusione delle informazioni sui vaccini “anche quel 50% di efficacia, data la gravità della malattia e il numero di morti, sarebbe comunque stato un punto di svolta”.
Tra l’altro, ora, lo sforzo di vaccinazione globale è una corsa contro l'evoluzione del virus e più vaccini abbiamo, maggiori sono le nostre possibilità di difesa.
E poi c’è il tema logistico. I vaccini a non-mRNA hanno un vantaggio da questo punto di vista. Quelli di AstraZeneca, Novavax e Johnson & Johnson possono essere conserv ati alle normali temperature del frigorifero. Inoltre, il vaccino Johnson & Johnson è una dose, non due, il che significa metà delle siringhe, metà degli appuntamenti e un sistema di tracciamento molto più semplice.
Quella che invece resta una domanda aperta è semmai come sarà la risposta dei diversi vaccini a un eventuale aggiornamento. A oggi, non sappiamo ancora come una persona che è stata vaccinata con un vaccino Covid di prima generazione risponderà a un nuovo vaccino contro una nuova variante. Però ci sono alcune prove che i vaccini a Rna potrebbero da questo punto di vista essere migliori. Per ragioni che non sono ancora chiare, alcuni vaccini a Rna innescano risposte immunitarie sorprendentemente complesse, producendo anticorpi che prendono di mira regioni di proteine virali che spesso non vengono rilevate nelle risposte vaccini. Ciò potrebbe significare che i vaccini a Rna saranno anche in grado di “indirizzare” meglio i cambiamenti presenti in una variante.