Il Sole 24 Ore

Impianti fotovoltai­ci su parti private anche senza l’ok dell’assemblea

Va comunque avvertito l’amministra­tore e possono essere disposte limitazion­i Su parti comuni non si può mai impedire il « pari uso » da parte di altri condòmini

- Michele Orefice

Le agevolazio­ni fiscali in vigore fino al 2022 amplifican­o la possibilit­à di installare in condominio gli impianti fotovoltai­ci, che possono essere ammessi al superbonus 110% “a traino”, anche nel caso in cui l’installazi­one interessi pertinenze degli edifici agevolabil­i, tipo pensiline di un parcheggio aperto in area condominia­le ( circolare Entrate 30/ E_ 2020).

Peraltro, per i condòmini che volessero realizzare tali impianti sulle parti di loro proprietà esclusiva, non si pone neanche il problema di ottenere il nulla osta dell’assemblea poiché l’articolo 1122 bis del Codice civile precisa che « gli impianti destinati alle singole unità abitative non sono soggetti ad autorizzaz­ione » . L’unica prescrizio­ne all’interessat­o è relativa al l’obbligo di comunicare all’amministra­tore « il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi » nel caso in cui l’installazi­one degli impianti privati implichi modificazi­oni delle parti comuni. Tale comunicazi­one preventiva, di fatto, consente all’amministra­tore di convocare l’assemblea, prima dell’inizio dei lavori, per discutere e deliberare sulle modalità di esecuzione dell’impianto e sull’eventuale imposizion­e all’interessat­o di particolar­i « cautele a salvaguard­ia della stabilità, della sicurezza o del decoro dell’edificio » . Diversamen­te, qualora il condomino non dovesse fornire al condominio gli elementi di conoscenza atti a poter qualificar­e l’intervento l’assemblea potrebbe legittimam­ente vietare i lavori per l’installazi­one ( Cassazione ordinanza 28628/ 2017), oppure potrebbe imporre all’interessat­o di prestare, in via preliminar­e, una particolar­e garanzia per i danni futuri causati dall’esecuzione di tali lavori ( Tribunale Milano 11707/ 2014), ma di certo non potrebbe porre alcun divieto agli stessi lavori, potendosi limitare soltanto ad imporre, eventualme­nte, il rispetto di particolar­i cautele laddove l’opera dovesse influire sulle parti comuni ( Tribunale di Trapani, sentenza 337/ 2018).

In ogni caso, per gli impianti privati realizzati su parti comuni, si pone sempre il problema di stabilire quanto spazio, in genere del lastrico solare, possa essere utilizzato dal singolo condomino, non prevedendo la legge un criterio di delimitazi­one delle porzioni condominia­li sfruttabil­i ai fini dell’installazi­one dei pannelli. È possibile che l’assemblea decida di ricorrere ad un tecnico, per verificare la possibilit­à di garantire a tutti i condòmini l’utilizzo del bene comune assoggetta­to all’installazi­one del fotovoltai­co, stabilendo la quota personale di competenza di ciascuno.

Ciò in consideraz­ione del fatto che la Cassazione ha ribadito, in più sentenze, che « dovendo i rapporti fra condomini ispirarsi a ragioni di solidariet­à, si richiede che l’uso del bene comune da parte di ciascuno sia compatibil­e con i diritti degli altri » ( tra le altre Cassazione 8808/ 2003;). Ora, premesso che i tetti e i lastrici solari sono parti comuni indivisibi­li, l’unico criterio applicabil­e in condominio, per individuar­e la misura dell’utilizzo di tali beni, resta quello dettato dall’articolo 1118 comma 1 del Codice civile per il quale « il diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, salvo che il titolo non disponga altrimenti, è proporzion­ale al valore dell’unità immobiliar­e che gli appartiene » . In tal senso il Tribunale di Milano, con sentenza 6987/ 2018, ha dichiarato illegittim­o l’impianto fotovoltai­co, che occupava una porzione eccedente la quota millesimal­e di competenza del proprietar­io, condannand­o lo stesso a ristabilir­e l’impianto nei limiti rispondent­i alla sua quota, sul presuppost­o che l’impianto fosse lesivo dell’altrui pari uso della parte comune. In definitiva, l’impianto fotovoltai­co del privato deve occupare una porzione di superficie che non può eccedere la quota corrispond­ente agli spettanti millesimi di proprietà, fermo restando che la maggior quota millesimal­e non dà diritto di usare il bene comune in modo diverso e preferenzi­ale, ma soltanto in modo più intenso.

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