Tari, sulle aree escluse il nodo quota fissa
Per la parte variabile possibili sconti determinati dall’avvio al recupero
Le risposte fornite dal dipartimento Finanze a Telefisco 2021 contribuiscono a chiarire l’ambito di applicazione delle modifiche recate dal Dlgs 116/2020, per una più corretta applicazione della Tari nel 2021. Il problema principale deriva dall’abrogazione della categoria dei rifiuti assimilati, sostituiti dai «rifiuti urbani» delle imprese, che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici, fermo restando che i rifiuti urbani non includono quelli della produzione.
I rifiuti urbani prodotti dalle imprese si ottengono dall’incrocio degli allegati L-quater e L-quinquies del Dlsg 152/2006, che elencano le tipologie di rifiuti e di attività, non includendo però le attività industriali e le attività agricole, neanche per connessione. Ci si è posti quindi il problema di come cambia la Tari nel 2021, posto che il presupposto della tassa è il possesso o la detenzione di locali e aree produttive di rifiuti urbani.
Il Mef evidenzia che l’articolo 184, comma 3, lettera c) del Dlgs 152/2006, inserisce tra i «rifiuti speciali» quelli prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali, se diversi da quelli del comma 2 ossia dai rifiuti urbani; dalla lettura combinata emerge che le attività industriali possono essere produttive di rifiuti sia urbani sia speciali.
Producendo anche rifiuti urbani, le attività industriali non possono ritenersi escluse dall’applicazione della Tari. Secondo il Mef possono considerarsi produttive di rifiuti speciali le superfici di lavorazione industriale, che conseguentemente resterebbero escluse dalla Tari. L’esclusione farebbe presumere che per queste superfici non sia dovuta neanche la quota fissa, conclusione questa però contraria a una giurisprudenza di legittimità che si sta via via consolidando, anche se con riferimento ai vecchi prelievi (Cassazione n. 22901/2020).
Resta impregiudicata l’applicazione della Tari, sia per la quota fissa sia per quella variabile, alle superfici produttive di rifiuti urbani, come ad esempio mense, uffici, servizi, depositi o magazzini non funzionalmente collegati alle attività produttive di rifiuti speciali in base al comma 649 della legge 147/2013.
Altra importante precisazione riguarda le riduzioni della parte variabile, che il comma 649 prevede a favore di chi avvia autonomamente al riciclo i propri rifiuti speciali assimilati. Per il Mef il regolamento comunale va aggiornato per tener conto del nuovo quadro normativo, in modo da riconoscere «una riduzione della quota variabile del tributo proporzionale alla quantità di rifiuti urbani che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati». Tuttavia si ritiene, considerando l’ampia potestà regolamentare sul punto, che il Comune possa più coerentemente prevedere una riduzione per «avvio al recupero» dei rifiuti, in modo da garantire ai soggetti che non intendono “uscire” dal servizio pubblico con tutti i rifiuti urbani prodotti (per quanto previsto dal nuovo articolo 198, comma 2-bis e dall’articolo 238, comma 10, del Dlgs 152/2006) una riduzione proporzionale alla quantità di rifiuti avviati al recupero, anche considerando che il riciclo è un’operazione di recupero. Questa soluzione presenta però difficoltà applicative per la tariffa corrispettiva, visto che i rifiuti urbani delle imprese includono i «rifiuti urbani indifferenziati» e la tariffa si calcola essenzialmente con la misurazione di questi rifiuti (Dm 20 aprile 2017)
Il Dipartimento ha contribuito significativamente a chiarire alcuni aspetti. Ma restano altri problemi, come il limite quantitativo ai rifiuti conferibili al pubblico servizio (prima determinato in sede di assimilazione) o quella degli agriturismi, che non possono più conferire nulla, anche volendo, al pubblico servizio, anche in presenza di cassonetti stradali.