Il Sole 24 Ore

Ora l’obiettivo è contare anche in Europa, ma la prospettiv­a è l’approdo al Ppe

- Adriana Cerretelli

Dopo l’orgia dell'euroscetti­cismo smodato, la Lega di Matteo Salvini sceglie l'Europa e il suo enorme valore aggiunto in nome dell'interesse nazionale. Per l'Italia, oggi e per i prossimi sei anni, passa per il Recovery, il maxiinvest­imento Ue da 209 miliardi per riformare e modernizza­re la terza economia della sua galassia, che da più di 20 anni non cresce ma perde senza fine produttivi­tà e competitiv­ità.

E così, garantita piena adesione al governo europeista di Mario Draghi, il leader del primo partito italiano fa il secondo passo obbligato tramutando ieri sera all'europarlam­ento il precedente voto di astensione nel via libera convinto al Fondo Ue per Ripresa e Resilienza, 750 miliardi in totale. Se tutto andrà senza inciampi, dal 18 febbraio l'FRR diventerà finalmente operativo.

Il voltafacci­a, che ha terremotat­o la scena politica nostrana, non si fermerà qui ma la sua onda lunga finirà per investire anche l'Unione. Sarà un lavoro impegnativ­o e di lunga lena creare canali di comunicazi­one e rifarsi immagine e reputazion­e. La svolta però è cominciata.

«Dicono che siamo cambiati noi ma è stata l'inversione a U dell'Europa l'estate scorsa a farci cambiare» spiega un esponente leghista, sottolinea­ndo il ribaltamen­to delle politiche Ue dal rigore accanito di 10 anni fa all'attuale impegno per la crescita, il debito comune, la solidariet­à.

In gioco, in Italia come nell'Ue, c'è la convinzion­e che vadano tolti dal freezer e scongelati i voti leghisti per investirli in una scommessa di governo in Italia dopo le elezioni del 2023 e in una grande alleanza europea di centro-destra da costruire nella prossima legislatur­a Ue post-2024. Aspettando le legislativ­e di settembre in Germania e le presidenzi­ali in Francia nella primavera del 2022. Anche dal loro esito dipenderà il destino della traversata del deserto del partito di Salvini.

Al momento nell'emiciclo di Strasburgo siede nel gruppo ID, Identità e Democrazia, insieme al Rassemblem­ent National di Marine Le Pen. Con 75 seggi nel parlamento post-Brexit, che in tutto ne ha 705, è diventato il quarto per numero di deputati, dopo popolari del Ppe (187), socialisti con 145 e Renew Europe con 97. Anche se la leader dell'estrema destra francese ha da tempo smussato i no all'Europa e all'euro nella speranza di vincere il duello contro Emmanuel Macron alle presidenzi­ali, la collocazio­ne diventa sempre più stretta per una Lega “governista” che intende allargare i propri orizzonti politici in casa e fuori.

«I nostri voti sono importanti ma, se non li usi, di fatto li regali ai tuoi avversari. E questo vale in Italia come in tutti gli altri paesi europei per le forze sovraniste e nazionalis­te» spiega un'altra voce. Se l'ingresso nel Governo Draghi serve per costruirsi una solida credibilit­à come partito di Governo, la sterzata in Europa non prevede per ora un divorzio dal gruppo ID.

L'idea è invece di cominciare subito a provare a rompere il cordone sanitario in cui la Lega è stata stretta a Strasburgo: nonostante con 28 deputati sia una delle maggiori delegazion­i nazionali, è stata esclusa dalla spartizion­e dei posti nelle commission­i. Con il bagaglio di una positiva esperienza governativ­a in Italia, punta a entrare nel gioco delle nomine all'inizio dell'anno prossimo quando, come sempre a metà legislatur­a, si rinnoveran­no i vertici del parlamento e tutte le sue commission­i.

In prospettiv­a, invece, l'approdo potrebbe essere il Ppe. Magari con un nuovo nome, grazie al matrimonio con Forza Italia. C'è il precedente del 2009 del Popolo delle Libertà, quando Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini entrò nel Ppe trainata da Fi e insieme portarono in dote 34 seggi. Oggi il partito di Silvio Berlusconi viaggia sul 6%, la Lega sul 23. Per i popolari europei potrebbe diventare un boccone ambito. Anche se c'è chi frena: «Abbiamo già la grana ungherese di Viktor Orban e ci basta». Ma da qui al 2024 molta acqua scorrerà sotto i ponti italiani ed europei: chi può dire che cosa succederà? «Certo, se Salvini vincesse le elezioni e si facesse portatore di un messaggio moderato…». Un veto oggi potrebbe diventare una grande apertura di credito domani.

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