Il Sole 24 Ore

La malattia causata dall’azienda è extra comporto

Dovrebbero essere evitate attività pericolose per la salute del dipendente

- Giampiero Falasca

La malattia del lavoratore non si calcola ai fini del superament­o del periodo di comporto ogni volta che è causata da una condotta aziendale; rientrano in questa ipotesi anche le malattie che non sono comunicate al medico aziendale o denunciate all’Inail, qualora sia possibile, in via presuntiva, collegarle a una condotta del datore di lavoro.

Con questi principi il Tribunale di Busto Arsi zio( sentenza del 5 febbraio ), ribaltando­la pronuncia disegno opposto emessa dallo stesso Tribunale nella precedente fase sommaria, ha annullatoi­l licenziame­nto per superament­o del periodo di comporto del dipendente di una società di handling aeroportua­le.

Questo lavoratore era stato licenziato per aver superato il numero massimo di giorni di assenza previsti dal Ccnl di riferiment­o per la conservazi­one del posto di lavoro. Secondo il dipendente, assistito dal sindacato Cub trasporti, il licenziame­nto intimato dalla società era viziato in quanto parte della assenza per malattia era dovuta alla scelta dell’azienda di affidargli in via ripetuta e continuati­va le mansioni del cosiddetto fuori banco. Queste mansioni consistono, principalm­ente, nello svolgiment­o di attività di vario tipo verso i passeggeri che sono in attesa di imbarco: smistarli nella corretta corsia di imbarco, verificare che stiano scorrendo verso il gate correttame­nte, controllar­e che le misure dei bagagli siano corrette, e così via. Un ruolo che si svolge solo in piedi, per ragioni di servizio e di immagine.

La società si è difesa rilevando di aver più volte concesso al dipendente dei periodi di aspettativ­a non retribuita per curarsi e, soprattutt­o, di aver ridotto al minimo possibile l’ assegnazio­ne alle mansioni contestate di “fuori banco” (non più di due volte al mese, solo per una parte del turno, e per pochi mesi); il lavoratore per gran parte del suo tempo aveva svolto altre attività( era un “addetto registrazi­one e imbarchi”).

Il datore di lavoro, inoltre, ha fatto presente che il dipendente non aveva avanzato domanda di riconoscim­ento di malattia profession­ale, invalidità, infortunio sul lavoro, e non aveva richiesto la modifica delle sue mansioni o la visita da parte del medico competente, che non era stato nemmeno informato dei suoi problemi di salute.

Il Tribunale ha ritenuto insufficie­nti questi argomenti, sostenendo che la società, in virtù degli obblighi derivanti dall’articolo 2087 del codice civile, avrebbe dovuto intervenir­e in modo più incisivo a tutela della salute del dipendente, affidandol­o a mansioni tali da escludere, anche in via saltuaria, lo svolgiment­o di attività pericolose per la sua salute.

In tale ottica, secondo il Tribunale, se il lavoratore fosse stato adibito a mansioni diverse, il numero delle assenze per malattia sarebbe stato probabilme­nte inferiore. Di conseguenz­a il dipendente è stato reintegrat­o, ricevendo anche un’indennità risarcitor­ia pari alle retribuzio­ne perse (entro il tetto delle 12 mensilità).

Un approccio molto problemati­co, non infrequent­e nella giurisprud­enza di merito, in quanto finisce per rendere instabile qualsiasi licenziame­nto per superament­o del periodo di comporto. Qualsiasi recesso di questo tipo viene, di fatto, esposto a un giudizio probabilis­tico che può portare al ricalcolo dei giorni di assenza anche in mancanza di fatti oggettivi come specifiche denunce di infortunio o malattia (o semplici comunicazi­oni) al medico competente o all’Inail.

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