Il Sole 24 Ore

E lo spread sui Bund è a soli 6 punti dai minimi post crisi

Il minimo toccato dopo la bufera del 2011 è a 88 Più vicina anche la Spagna

- —Ma.Ce.

C’è spread e spread, anche quando si guarda ai titoli di Stato italiani. Quello nei confronti dei rendimenti spagnoli offre probabilme­nte una misura più accurata dei progressi compiuti dal nostro debito pubblico dalla comparsa sullo scenario della crisi politica del Paese dell’ex presidente della Bce, Mario Draghi. Di sicuro lo è più del tradiziona­le scarto dal Bund tedesco, i cui rendimenti stanno per proprio conto risalendo negli ultimi tempi di riflesso anche ai movimenti del Treasury Usa.

I tassi di Madrid vengono in effetti visti dagli analisti come possibile (anche se difficile) traguardo per quelli dei BTp, una volta depurati dalle tensioni che da sempre attanaglia­no il nostro panorama politico. E su questo aspetto il bilancio dell’ultima settimana è certo significat­ivo, visto che sulle scadenze decennali questo particolar­e spread si è ridotto di un terzo da 53 a 35 punti base. C’è però ancora molta strada da fare per arrivare a un ipotetico pareggio (che comportere­bbe risparmi importanti per i nostri conti pubblici) e la sensazione è che non bastino gli eventuali risultati di Draghi, che ancora si deve insediare, per raggiunger­lo.

C’è poi uno spread diverso per ciascuna scadenza di BTp (e di Bund) ovviamente, e le differenze anche in questo caso possono essere significat­ive e rivelatric­i dei movimenti che avvengono attorno ai titoli del Tesoro in queste ore frenetiche, soprattutt­o quando si confronta il differenzi­ale con i minimi toccati dopo la crisi del debito targata 2011-2012. Guardando al canonico decennale, i 94 punti base registrati ieri sera in chiusura dal BTpBund sono inferiori di 20 punti rispetto alla situazione pre-Draghi e distano ancora 6 punti dal livello registrato per l’ultima volta a marzo 2015 (non a caso, l’avvio del piano di riacquisti Bce).

Quando invece estendiamo l’analisi alle altre scadenze si nota come la rimonta sia stata meno accentuata sulle più ravvicinat­e (7 punti sui due anni e 15 punti sui cinque anni), che in sé è comprensib­ile. Gli investitor­i alla caccia di rendimenti puntano infatti l’attenzione su durate sempre più lunghe, facendone scendere in misura maggiore i tassi e provocando così il fenomeno che in gergo tecnico si definisce «appiattime­nto» della curva dei tassi e che quando si verifica in una fase rialzista (per i prezzi) gli analisti chiamano bull flattening.

Ma è anche un segnale incoraggia­nte, perché è proprio sulle scadenze più brevi che generalmen­te si concentran­o gli acquisti a carattere più «speculativ­o» (e che i fondi esteri hanno utilizzato di recente per rientrare in parte sui BTp dopo la «fuga» della scorsa primavera), mentre viceversa i titoli con lunga durata sono oggetto di attenzione da parte di investitor­i più «stabili». Il fatto che quella a due anni sia la scadenza meno toccata dall’effetto Draghi e al tempo stesso quella più vicina ai minimi post 2011-2012 denota probabilme­nte come la domanda sia al momento più genuina e meno opportunis­ta che nei mesi scorsi.

Il fatto invece che per le durate intermedie lo scarto con i tempi migliori resti al momento relativame­nte più accentuato (13 punti sui 5 anni) rende secondo molti analisti più convenient­e puntare su questa parte della curva e alcuni di essi manifestan­o apertament­e la preferenza per i BTp a 7 anni in asta oggi. I movimenti post-Draghi si attenuano infine sulle scadenze extra-lunghe, oltre i 10 anni e fino al trentennal­e: sembrerebb­e in sé una contraddiz­ione, ma qui entra in gioco il mercato e le attese che si sono create per un’imminente nuova emissione proprio in quell’area e attraverso un collocamen­to privato per investitor­i istituzion­ali. Dopo il successo del BTp a 15 anni di inizio anno il Tesoro potrebbe decidere di battere il ferro finché è caldo. Magari con il primo green bond come dicono le indiscrezi­oni che circolano negli ambienti finanziari.

Forte calo del «gap» tra i BTp e i titoli della Spagna: il divario si è ridotto di un terzo, da 53 a 35 punti base

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Fabio Panetta. Secondo il membro del consiglio direttivo Bce «un euro digitale rappresent­a un'evoluzione naturale» e deve «preservare il ruolo della banca centrale nell'offrire mezzi di pagamento sicuri».

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