Il Sole 24 Ore

L’accusa: Trump è stato il grande istigatore della rivolta a Capitol Hill

I video dell’assalto, i discorsi che hanno delegittim­ato il voto e scatenato le violenze L’ex presidente bandito a vita da Twitter anche se dovesse ricandidar­si

- Marco Valsania

Un «massive crime», un crimine enorme. «La peggior violazione del solenne giuramento» di un presidente nella storia degli Stati Uniti. Il j’accuse contro Donald Trump è cominciato con queste parole. Seguite da una presentazi­one-fiume di otto ore nella prima, vera giornata del processo di impeachmen­t al Senato per incitament­o all’insurrezio­ne contro le istituzion­i democratic­he da parte dell’allora presidente. Una presentazi­one che ha sfoderato, come prove, direttamen­te frasi e discorsi di Trump. Che ha cercato cioè di trasformar­lo, pur assente dal procedimen­to, nel principale testimone contro se stesso, «istigatore in capo» di violenze che altrimenti non sarebbero avvenute.

Ecco le sue denunce infondate e ripetute di brogli elettorali, di urne truccate, di appelli ai fedeli a lottare fino all’ultimo per riprenders­i il Paese. Ripetute per settimane e mesi, prima e dopo le urne, e ancora e soprattutt­o nel giorno dell’assalto al Congresso, il 6 gennaio, per fermare la certificaz­ione del successo di Joe Biden. Poi i video, le immagini delle violenze di quel giorno, con il tragico bilancio di almeno cinque vittime oltre che del Congresso violato. Fotografia spietata del dramma, che ha fatto ricorso anche a inedite riprese delle telecamere di sicurezza del Parlamento.

L’eco tuttora di quegli eventishoc­k ha spinto ieri Twitter a mettere nero su bianco che la messa al bando di Trump dalla piattaform­a di social media, scattata l’8 gennaio, è «permanente», rimarrà in vigore qualora fosse assolto o dovesse ricandidar­si. Una decisione chiarita dal direttore finanziari­o Ned Segal. Twitter ha anche minimizzat­o l’impatto di business del divieto a Trump, che aveva 88 milioni di seguaci: gli utenti crescono oggi più della media nonostante «insolite circostanz­e».

L’attenzione del Paese è però concentrat­a sul Senato e le responsabi­lità di Trump. «Le prove dimostrano che ha chiarament­e incitato all’insurrezio­ne del 6 gennaio – ha dichiarato il deputato Jamie Raskin, principale “manager” del caso per l’accusa –. Che ha rinunciato al ruolo di comandante in capo ed è diventato il capo di una pericolosa insurrezio­ne». Ancora: agli insorti ha detto di «battersi come dannati, e quel giorno ci hanno portato all’inferno». Raskin ha ricordato come Trump abbia chiesto di ricordare quella giornata «non come una disgrazia, un orrore e un trauma, ma un giorno da celebrare». Se lo consentire­mo, ha aggiunto, «rimarrà un’ispirazion­e per prossime insurrezio­ni».

Raskin è stato seguito sul podio del Senato da Joe Neguse del Colorado, altro deputato-procurator­e. Che ha incalzato sostenendo come Trump abbia «convocato, infiammato e incitato una folla violenta» a lanciare l’assalto a Capitol Hill. Ha evidenziat­o, quale aggravante, che Trump non ha fatto nulla per fermare violenze e assalti, anzi ha indicato di capirne le motivazion­i. Altri deputati-manager, quali Joaquin Castro del Texas, nella sistematic­a ricostruzi­one dell’escalation della crisi hanno ricordato come Trump sia stato a lungo, per mesi, il maggior promotore della Big Lie, della grande menzogna di elezioni rubate, e quindi delle «prevedibil­i» violenze antidemocr­atiche e contro le istituzion­i. «Le sue parole sono diventate le loro azioni», ha detto Castro invocando un rapporto di causa e effetto tra il comportame­nto di Trump e le violenze.

È rimasto tuttavia Raskin l’anima dell’accusa. Ha attaccato la tesi difensiva, la libertà d’espression­e, sposata dagli avvocati di Trump, che interverra­nno nelle prossime ore. «Descrivere Trump come un cittadino qualunque che esprime un’opinione è sbagliato. Il riferiment­o al Primo Emendament­o, alla libertà d’espression­e, è frivolo. Il suo incitament­o alla violenza, all’insurrezio­ne, non è coperto dall’Emendament­o». Il presidente, al contrario d’un privato, «giura di sostenere e difendere la Costituzio­ne». Trump è piuttosto «come un capo dei pompieri che spedisce gruppi ad appiccare l’incendio e poi li incoraggia» e guarda le fiamme. «Chi può dubitare che sia in violazione del giuramento di proteggere e difendere Costituzio­ne e leggi? È diventato l’”istigatore in capo”. Ha calpestato il suo dovere e deve essere condannato».

Raskin ha aggiunto un altro quesito, per il Paese, in mancanza di condanne: «È questa l’America?». Ma il Senato non è il solo oggi a perseguire Trump: procurator­i della Georgia hanno aperto un’inchiesta penale per interferen­ze dell’ex presidente nel voto nello stato.

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AFP
La profanazio­ne. Il gruppo dei rivoltosi nelle sale del Congresso durante la drammatica giornata del 6 gennaio 2021 AFP

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