Materiali che si autoriparano e si rinforzano (con spinaci)
Rinascere da noi stessi. Veder ricrescere i nostri arti come accade a quelli amputati di una salamandra o alla coda mozzata di una lucertola. Sogno (confessato e inseguito) delle ricerche di frontiera della medicina rigenerativa. Ma, perché si avveri, dovremo attrezzarci di tanta pazienza. Ce ne servirà probabilmente un po’ meno perché a rigenerarsi e autoripararsi siano, invece, i materiali. È il caso del seleniuro di antimonio (Sb2Se3), un semiconduttore usato nella conversione della luce solare in energia elettrica. I ricercatori della University of York, diretti da Keith Patrick McKenna, hanno scoperto che tale materiale – così come quello ad esso strettamente correlato, ossia il solfuro di antimonio (Sb2S3) - è capace di autoripararsi, rimediando alla rottura dei propri legami attraverso un meccanismo che emula da vicino quello con cui una salamandra riesce a far ricrescere un proprio arto amputato. Con applicazioni, in questo caso, soprattutto nell’optoelettronica e per un fotovoltaico più economico e sostenibile.
Se un pannello solare che si autoripara non è certo poca cosa, dalle parti della University of Southern California hanno provato a “dare una mano” ai colleghi del Regno Unito facendo ulteriori, importanti, passi sulla via che potrebbe portarci sempre più vicini alla produzione di materiali di ogni tipo capaci di autoripararsi e, perfino, di autorinforzarsi. Già, diventare più forti. Ma come? Col trucco di Braccio di Ferro. È proprio ispirandosi (anche) a Popeye, infatti, che «è nata l’idea della ricerca», conferma Qiming Wang, il professore nel cui laboratorio sono stati fatti i primi esperimenti su un particolare inchiostro polimerico, di recente invenzione, usato per la stampa 3D. Obiettivo: creare materiali capaci di diventare più forti, molto più forti (e resistenti) di quelli ottenibili senza trucco.
Per aumentare la forza – Popeye insegna – il trucco c’è: gli spinaci. I ricercatori della Usc - al cui progetto di ricerca ha partecipato anche Chiara Daraio, la ricercatrice italiana eletta nel 2010 da Popular Science tra i dieci migliori scienziati under 40 che lavorano negli Usa - hanno pensato bene di usarli davvero gli spinaci, servendosi di una centrifuga per estrarne i cloroplasti e mescolandoli all’inchiostro polimerico, utilizzando poi quest’ultimo per stampare oggetti 3D fino a sei volte più forti di quelli originali stampati senza trucco. Il tutto, anche grazie a un altro indispensabile espediente, questa volta ispirato agli alberi e alla fotosintesi: una volta stampato in 3D, il materiale è stato esposto alla luce per due-quattro ore, determinando la generazione di glucosio vegetale che, reagendo con il polimero dell’inchiostro, ha reso notevolmente più forte la struttura stampata. Esattamente come avviene negli alberi, laddove il glucosio, trasformandosi in cellulosa, ne rinforza la struttura.
«La nostra idea – spiega Chiara Daraio - è incorporare all’interno di materiali sintetici componenti derivati da organismi viventi, come cloroplasti e pareti di cellule vegetali. La diversità e ricchezza delle specie di cellule vegetali offrono una piattaforma immensa con grandi potenzialità, ancora inesplorate, per creare materiali biocompositi con proprietà inusuali». In un certo senso «stiamo cercando di immortalare, all’interno di materiali ingegneristici, proprietà tipiche di organismi viventi, come, ad esempio, la capacità di eseguire processi di fotosintesi».
Proprio a causa di tali processi e della conseguente generazione del glucosio, il materiale stampato col bioinchiostro “di Popeye” ha anche l’eccezionale capacità di autoripararsi in caso di danni o fratture. Proprietà che i ricercatori prevedono di applicare con successo a molti materiali di uso comune soggetti a urti e vibrazioni quali, ad esempio, eliche di imbarcazioni o di droni. E, ovviamente, non solo a questi. Perché, se è vero che la sfida con la scienza per rinascere da noi stessi come lucertole e salamandre ci vede (ancora) per certi versi perdenti, sullo stesso tavolo sembra stiamo per vincere il braccio di ferro (è il caso di dirlo!) che ci potrebbe portare presto a nuovi materiali – più efficienti, economici e sostenibili - capaci davvero di ripararsi e rigenerarsi da soli. E rivoluzionare le nostre vite.