Parigi punta al reshoring dei settori strategici
Dotare l’industria francese di indipendenza in settori nuovi e strategici. È l’obiettivo del piano di reindustrializzazione e rilocalizzazione, il Plan de relance, varato da Parigi anche per usufruire del Recovery fund. Il piano destina un miliardo, fino al 2022. per favorire la reindustrializzazione in settori considerati cruciali, come la transizione energetica verso un sistema ancora meno dipendente dalle importazioni di petrolio, e nei settori delle batterie, dell’idrogeno, dell’intelligenza artificiale. Senza dimenticare, naturalmente, la sanità.
Tornare a casa: reindustrializzare, rilocalizzare. In Francia la discussione su questi temi è vivace, da quando il presidente Emmanuel Macron ha avviato e via via precisato una strategia industriale che punta a una maggiore indipendenza se non nazionale, almeno europea. Ampliando un orientamento che Parigi ha già adottato in passato per energia e agricoltura.
Non a caso la transizione energetica, verso un sistema ancora meno dipendente dalle importazioni di petrolio, resta al centro dell’attenzione del governo, insieme ad alcuni settori avanzati come le batterie, l’idrogeno, i dati, l’intelligenza artificiale; e, naturalmente, la sanità. « L’ 80% dei principi attivi sono prodotti fuori dall’Europa, importiamo il 50% delle proteine vegetali necessarie per l’alimentazione animale, l’Europa non produce che il 14% del mercato mondiale dell’elettronica » , sono gli argomenti del ministero dell’Economia.
Il compito non è semplice. Anche se la scelta dei settori di intervento è politicamente motivata – l’obiettivo è l’indipendenza in settori geopoliticamente strategici – sia pure con un occhio attento alle imprese già esistenti nel paese ( e ai territoires della vasta Francia), non è detto che sia facile creare le condizioni di sostenibilità economica.
Soprattutto quando il tema è quello del reshoring, la rilocalizzazione. Il Plan de relance ci prova: ha messo a disposizione un miliardo per favorire questo processo: 600 milioni sono a disposizione, fino al 2022, per investimenti mirati: di questi 100 milioni sono riservati a cinque settori strategici: sanità, fattori di produzione ( materie prime) per l’industria, elettronica, agroalimentare e tecnologie legate al 5G. Altri 400 milioni sono destinati alle rilocalizzazioni nei territori, per favorire le regioni meno prospere. « France relance è stato concepito come un acceleratore di sovranità » , spiega il dossier del ministero dell’Economia, che aggiunge: « La nostra nazione riprende nelle sue mani il suo destino economico » .
Le cifre non sono elevate, ma comunque interessanti. Il programma ha così avuto qualche successo. Nella prima manche sono stati aperti 6.500 dossier e sono stati scelti 394 progetti, ai quali sono stati destinati sussidi per 372 milioni ( poco meno di 950mila euro per progetto) che aiuteranno a finanziare investimenti per 1,5 miliardi. Di questi, sono già selezionati 31 progetti a dicembre, per investimenti totali di 680 milioni ( 140 a carico del Governo): creeranno direttamente 1.800 posti di lavoro direttamente che salgono a 4mila con l’indotto. Nei giorni scorsi sono stati autorizzati altri 34 progetti per investimenti da 333 milioni di euro ( dei quali 129 versati dallo Stato). Sanità e biotecnologie, seguite dall’elettronica, i settori privilegiati.
Non si tratta, apparentemente e malgrado il ministero le chiami così, di vere e proprie rilocalizzazioni. Il governo ha superato il suo precedente approccio, che proponeva di compensare per un periodo limitato l’aggravio di costi determinato dal rientro delle attività in Francia. Si tratta, il più delle volte, di nuovi investimenti che in circostanze diverse sarebbero stati realizzati oltrefrontiera.
Tre fattori rendono ragionevole questo approccio, più flessibile: il costo del lavoro unitario è comunque rimasto fermo, in Francia, per due decenni, mentre il piano di rilancio ha ridotto di dieci miliardi le imposte sulla produzione, che rappresentavano un disincentivo formidabile all’attività manifatturieria; d’altra parte, sarebbe stato difficile convincere a “tornare indietro” la tantissime imprese che hanno delocalizzato non solo per poter godere di un costo del lavoro più basso, ma anche per potere essere vicini a importanti mercati di sbocco, come l’immensa Cina. Il fattore costo, inoltre, diventa molto più importante in tempi di crisi, malgrado l’aumento del costo del lavoro ( in Cina, per esempio), dei costi di trasporto, e in alcuni casi anche dei dazi.
È su altro che occorre intervenire. È escluso, notano diversi economisti, che la Francia possa puntare, come ha invece fatto la Germania – che può godere di mercati più ampi – sulle economie di scala. Sono in primo luogo « la digitalizzazione e la robotizzazione dei processi produttivi che permettono - ha spiegato El Mouhoub Mouhoud, presidente dell’Université Paris- Dauphine, ed esperto del tema dell’offshoring e dell’onshoring, in un seminario organizzato dal Cercle des Economistes - di rilocalizzare in modo naturale: in un certo senso, ci sono settori interi che sono candidati naturali » . Non tutti, però: per tessile, abbigliamento, cuoio, è più difficile immaginare un ritorno. « La robotizzazione, in un momento in cui i tassi di interesse reali sono negativi o in ogni caso molto bassi, è qualcosa su cui le imprese stanno investendo » , ha aggiunto. È su questo che occorre allora insistere. Sulla robotizzazione « la Francia è ancora piuttosto indietro, e quindi ci sono margini » . Senza farsi grandi illusioni sugli effetti complessivi: « Quando si delocalizzano 10 posti di lavoro, poi se ne rilocalizza uno solo » .
PIù interessanti, per Mouhoud, sono allora le relocalizzazioni legate a uno sviluppo tecnologico « competitivo » , che va quindi incentivato. Non un ritorno delle imprese, quindi, ma la sostituzione dell’ out sourcingcondell’ out sourcingg con conl’ i nnovazione interna. Un esempio è il paracetamolo, la molecola che, insieme alle mascherine, ha reso evidente la dipendenza dalla Cina: i processi produttivi sono molto inquinanti e la delocalizzazione è legata anche ai minori costi ambientali: « Se cambiano le tecnologie si può rilanciare questa industria » . Questo è il vero reshoring di lungo termine, percorribile: « La relocalizzazione ’ di ritorno’, molto sensibile giustamente ai costi o all’attrattività di ’ regali’ fiscali che possono essere concessi non sono perenni » . L’esperienza degli ultimi 20 anni mostra che « molte aziende prendono gli aiuti e ripartono quando questo sostegno finisce » .