Soddisfazione tra i francesi, ora priorità alla lista Telecom
Entra in gioco anche l’indagine penale sulla scalata al Biscione
Quattro anni e mezzo passati a litigare tra Mediaset e Vivendi e forse solo ora si intravvede la fine, per lo meno per quanto riguarda il giudizio di primo grado nella causa civile per la mancata compravendita di Premium. I legali di Vivendi, dopo cinque ore di seduta, si sono detti ampiamente « soddisfatti » di come si è svolta l’udienza. Mediaset, da parte sua, conta che vengano messe sul piatto anche le evidenze raccolte nell’indagine penale per il rastrellamento della azioni Mediaset che, con un blitz di poche settimane, aveva portato il gruppo che fa capo a Vincent Bollorè, alla vigilia di Natale del 2016, al 28,8% del capitale, a ridosso della quota che allora aveva in portafoglio la holding della famiglia Berlusconi.
Lo scorso 1° febbraio Mediaset ha depositato infatti una selezione di una ventina di documenti relativi all’indagine sulla scalata, fuori tempo massimo secondo i legali di Vivendi che hanno comunque replicato depositando a loro volta altri documenti il 9 febbraio. Mediaset ha chiesto ieri di riunire anche la causa per la violazione del Tusmar ( con il duplice investimento di Vivendi in Mediaset e Telecom, vietato dalla legge Gasparri che poi la corte Ue ha depotenziato, dando ragione ai francesi) che pende davanti alla stessa corte, ma questo non dovrebbe - in teoria - incidere più di tanto sui tempi per arrivare a sentenza.
Sull’indagine penale per la scalata a Mediaset la conclusione delle indagini ha portato a formulare l’ipotesi di manipolazione informativa a carico del ceo di Vivendi Arnaud de Puyfontaine e di Vincent Bollorè, azionista di riferimento e ai tempi anche presidente del consiglio di sorveglianza. È stato acquisito un verbale del supervisory board del febbraio 2016 che autorizzava il management a rilevare fino al 25% di Mediaset. L’ 8 aprile di quell’anno i due gruppi avevano raggiunto poi un accordo su Premium, che prevedeva il passaggio della pay- tv del Biscione sotto le insegne francesi e uno scambio reciproco di capitale limitato al 3,5%. A luglio Vivendi l’aveva rimesso in discussione, rimangiandosi un contratto già sottoscritto, e a dicembre aveva dato il via alla scalata che aveva portato Bollorè a diventare il secondo pesante e scomodo socio di Mediaset.
C’è anche però il giallo di una chiavetta, inizialmente data per persa, che sarebbe arrivata solo recentemente sul tavolo della Procura con documentazione relativa al rastrellamento ottenuta tramite il canale Uk.
Fatto sta che Bollorè e De Puyfontaine hanno strappato una proroga fino al 4 marzo per decidere se essere ascoltati in merito alle indagini penali. La richiesta di rinvio a giudizio a carico dei due manager francesi non è ancora stata avanzata, ma la proroga ha permesso di fatto di scavallare l’udienza finale sulla causa danni su Premium e di distanziare nel contempo l’ombra di un possibile processo penale dalle scadenze societarie Telecom, che ha finito suo malgrado, fin dall’inizio, per essere coinvolta, almeno di riflesso, nelle intricate vicende che oppongono il suo primo azionista al gruppo televisivo della famiglia Berlusconi. Telecom ha anticipato a fine marzo l’assemblea di bilancio nella quale verrà nominato il nuovo consiglio, sicchè la lista di maggioranza verrà presentata già il 23 febbraio dal cda uscente al quale anche i francesi hanno deciso di appoggiarsi. Evitando così di esporsi con una propria lista che, sulla carta, avrebbe anche potuto permettere a Vivendi di riconquistare maggior peso nel board. Viste le questioni ancora in sospeso sull’altro fronte forse Vivendi ha ritenuto che fosse meglio restare sottotraccia.