Il Sole 24 Ore

Il consulente paga se il danno è provato

L’errore non obbliga al rimborso se il credito Iva non è contabiliz­zato

- Patrizia Maciocchi

Il commercial­ista non può essere condannato a rimborsare il credito Iva non dichiarato se questo non era stato contabiliz­zato. La Cassazione con la sentenza 3782, censura la decisione della corte d’Appello che aveva condannato il profession­ista a rifondere il danno alla società. Per la Suprema corte alla base del verdetto impugnato c’era una confusione tra il concetto di inadempime­nto, per l’inesatta prestazion­e profession­ale, con quello di responsabi­lità che fa scattare l’obbligo di risarcimen­to. Quest’ultimo, infatti, c’è solo se viene accertata l’esistenza e l’ammontare del danno. E dunque non può essere affermato nel caso in cui il credito Iva sia fittizio, richiesto in maniera fraudolent­a, oppure non risulta contabiliz­zato nelle scritture o mancano le fatture. In tali circostanz­e il credito resta indimostra­to e non può essere considerat­o “perdita patrimonia­le”. La Corte d’Appello aveva confuso il danno da perdita definitiva del credito Iva con quello relativo all’incertezza che si era creata, perché il rimborso, concesso in prima battuta, era stato poi recuperato con una polizza fideiussor­ia. La società aveva dunque dovuto ritrasferi­re, con gli interessi all’assicurato­re, con sanzioni ed interessi, l’importo del credito già percepito.

Il ricorso del commercial­ista passa anche sul punto relativo ad un residuo debito definitiva­mente accertato. Il profession­ista era stato condannato a rifondere alla compagine quanto dovuto all’Agenzia. La Suprema corte spiega invece che la sola esposizion­e debitoria della società non era sufficient­e per imporre al consulente di anticipare le somme, che costituire­bbero il danno, se manca la prova di un effettivo esborso da parte della cliente.

Un criterio che la Corte d’Appello aveva invece correttame­nte seguito in relazione all’importo delle spese legali, indicato in fattura ma considerat­o non dimostrato in assenza della quietanza e dunque defalcato dal risarcimen­to. Il commercial­ista ha invece torto per quanto riguarda il presunto rinnovo tacito , della polizza assicurati­va cessata per disdetta, con un periodo di “vuoto” prima dell’operativit­à di una seconda polizza con diverso numero. La Cassazione ricorda che la sospension­e della polizza assicurati­va può essere interrotta solo con pagamento del premio. E questo non c’era stato.

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