Il Sole 24 Ore

Nel 2021 il Tesoro si finanzia a tasso zero

Giù a 0,06% il costo medio delle emissioni: risparmio annuo fino a 2,5 miliardi Venduti BTp per 14 miliardi ( 10 a dieci anni e 4 a trenta) Ordini a quota 82 miliardi

- Longo e Cellino—

Edizione chiusa in redazione alle 22 Gran richiesta sui titoli di Stato italiani, a riprova del rinnovato appetito del mercato per il nostro debito: il Tesoro ha emesso BTp per 14 miliardi con un collocamen­to sindacato, a fronte di ordini per 82 miliardi: 10 miliardi in BTp decennali ( rendimento 0,604%) e 4 miliardi di trentennal­i indicizzat­i ( a 0,177%). Grande beneficio dal calo dei tassi: il costo medio delle emissioni nel 2021 è 0,06%. A oggi assicura un risparmio annuo fino a 2,5 miliardi.

A tasso zero, o quasi. Da inizio anno il Tesoro italiano si sta finanziand­o a condizioni di favore, simili a quelle in cui spesso ci si imbatte nei messaggi pubblicita­ri che invogliano agli acquisti a rate. Ed è una novità, almeno per il nostro Paese, che se confermata per tutto il 2021 può tradursi in risparmi significat­ivi e nell’ordine dei 2 miliardi di euro nella gestione di un debito pubblico che sfiora ormai i 2.200 miliardi. Il dato a cui non siamo certo abituati emerge dalle cifre pubblicate dal Mef, aggiornate a fine gennaio.

I benefici per le casse pubbliche

Il rendimento medio ponderato all’emissione registrato nel primo mese del 2021 dai titoli italiani è stato infatti pari ad appena lo 0,06 per cento. È vero che si tratta soltanto dell’inizio dell’anno, e di un periodo assai ristretto durante il quale sono state collocate obbligazio­ni a breve termine ( i BoT) per un ammontare lordo di 20,5 miliardi di euro e a scadenza medio- lunga ( BTp, CTz e CcT) per 35 miliardi. Ed è anche vero che questo valore è sicurament­e aumentato, anche se in misura marginale, dopo le operazioni della scorsa settimana e soprattutt­o alla luce del collocamen­to sindacato di ieri, che ha coinvolto titoli dalla durata più lunga e quindi più « cari » .

Resta però evidente che se una tendenza simile dovesse essere confermata nell’arco dei successivi undici mesi, i conti pubblici potrebbero trarne un beneficio significat­ivo in termini di minori spese future per ripagare gli interessi a chi sottoscriv­e il debito italiano. Quando si pensa che nel 2020 il costo medio all’emissione, pur in sensibile discesa rispetto all’anno precedente, si era fermato allo 0,59% ( a pochi centesimi dall’allora record storico di 0,56% del 2016) e si considera soprattutt­o che nell’arco dell’intero 2021 il Tesoro dovrà collocare nuovi titoli per un ammontare non lontano ai 500 miliardi di euro, si può stimare un esborso inferiore fino a 2,5 miliardi di euro rispetto a quando sarebbe stato necessario spendere finanziand­osi alle condizioni dello scorso anno.

Risparmi « durevoli »

Si tratta certo di « risparmi » che si materializ­zeranno via via nel corso dei mesi a venire, sempre che i tassi si mantengano sugli attuali livelli. Alcuni dei vantaggi sono però destinati a mantenersi anche negli anni successivi, per tutta la durata delle obbligazio­ni emesse, e può essere quindi utile circoscriv­ere la stima ai soli titoli a media- lunga scadenza ( oltre i 12 mesi). In questo caso il costo medio all’emissione è stato finora ovviamente più elevato, attorno allo 0,40%, ma risulta pur sempre inferiore di circa mezzo punto percentual­e rispetto a quanto registrato nell’intero 2020.

E quando si pensa che il Tesoro potrebbe quest’anno collocare sul mercato un ammontare lordo di BTp e simili stimato dagli analisti nell’ordine dei 340- 350 miliardi, si può ipotizzare un risparmio che resta sì leggerment­e al di sotto dei 2 miliardi, ma che si manterrà « a regime » anche negli anni successivi visto che la durata media dei titoli italiani sul mercato è di poco inferiore ai 7 anni. Parte di questi vantaggi sono da accreditar­e a quello che passa ormai comunement­e come « effetto Draghi » , e che traspare in modo evidente dal recente restringim­ento dello spread dei rendimenti decennali sia nei confronti della Germania ( circa 25 punti base dal giorno dell’incarico all’ex presidente della Bce), sia rispetto alla più « vicina » Spagna.

Va però anche detto che la fase ribassista sui tassi dei BTp, e in generale della « periferia » europea, era già partita dalla primavera precedente, con i massicci interventi in acquisto della Bce e con l’accordo fra i governi sul piano Next Generation Eu. L’arrivo di Draghi ha, se non altro, ricondotto nei giusti binari un treno che rischiava di deragliare a causa dell’ennesima crisi politica italiana e, guardando sempre al nostro Paese, il mantenimen­to delle condizioni di favore delle ultime settimane dipende in primo luogo da quanto il nuovo Governo saprà ripagare la fiducia concessa dai mercati.

Contano i tassi, non solo lo spread

Ragionando in termini generali sui costi del debito pubblico occorrerà invece tenere presente anche i movimenti dei tassi su scala globale. Il loro livello sta infatti tornando a risalire, se pur in maniera graduale, di riflesso alle attese per una ripresa post- Covid e anche per un parziale ritorno dell’inflazione che potrebbe rendere le Banche centrali meno incisive sulle misure si sostegno, in particolar modo la Federal Reserve negli Stati Uniti. Una tendenza simile, se dovesse proseguire, influenzer­ebbe anche gli stessi rendimenti italiani fin tanto da arrestarne la discesa anche in presenza di spread più ristretti. Il Tesoro punta a ridurre ulteriorme­nte il costo medio del debito italiano, calcolato come rapporto tra gli interessi e l’ammontare complessiv­o, rispetto al 2,4% registrato a fine 2020: il « traguardo » del 2% non sembra poi così irraggiung­ibile come un tempo, ma i conti finali si fanno sui tassi, non sugli spread.

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