Il Sole 24 Ore

Previdenza Pensioni, il disavanzo risale da 20 a 33 miliardi

Dopo quota 100 tre ipotesi Spesa per l’assistenza salita di 41 miliardi dal 2008

- Colombo e Rogari —

Dopo sette anni di disavanzi tra contributi e prestazion­i in migliorame­nto, fino al “minimo” di 20 miliardi calcolati nel 2019 al netto dei trasferime­nti dello Stato, il peso della previdenza è tornato a salire. Il disavanzo l’anno scorso è balzato a 33 miliardi e nelle proiezioni di Itinerari previdenzi­ali resterebbe oltre i 31 miliardi quest’anno e tra i 25 e i 26 miliardi nel biennio 2022- 2023. Il Think- Tank di Alberto Brambilla ( ex consiglier­e di Matteo Salvini dopo la rottura di due anni fa su “Quota 100”) prevede flussi di uscita stabili con un numero di pensionati attorno ai 16,1 milioni nel triennio a venire e nell’Ottavo Rapporto presentato ieri a Montecitor­io torna a puntare il dito sull’assistenza, vera variabile fuori controllo del nostro Welfare con una spesa salita nel 2019 a 114,27 miliardi. Dal 2008 - è stato fatto notare - l’incremento struttural­e è stato di oltre 41 miliardi, con un tasso di crescita annuo oltre il 4% e di 3 volte superiore all’incremento della spesa per pensioni. « È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia – ha affermato Brambilla – quasi il 50% di pensionati non sia stato in grado di versare neppure 15/ 17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato, ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri. Innanzitut­to, perché non sembrano rispecchia­re le reali condizioni socio- economiche del Paese e, in secondo luogo, perché non va dimenticat­o che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazion­i gravano per 25,77 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizion­e fiscale » .

La ricetta per migliorare passa per un forte monitoragg­io sulla spesa assistenzi­ale, mentre per la previdenza sono state indicate soluzioni per uscire, nell’arco dei prossimi dieci anni, dal lungo ciclo degli interventi sperimenta­li. Con Quota 100 che si fermerà sicurament­e a fine anno, come avrebbe già detto Mario Draghi alla sua vasta maggioranz­a, il “dopo” indicato da Brambilla e il suo staff tecnico corre su un mix di proposte.

Innanzitut­to si punta sull’equiparazi­one per tutti i lavoratori delle regole previste per chi è entrato nel mercato dal 1996, con un’integrazio­ne al minimo su valori pari alla maggiorazi­one sociale e calcolati sulla base degli anni di contribuzi­one. Occorre poi mantenere la pensione di vecchiaia con 67 anni adeguata all’aspettativ­a di vita e almeno 20 di contribuzi­one. “Quota 100”, Ape social, Opzione donna e anticipi per i precoci possono essere sostituiti dai fondi esubero che sono già operativi per le banche e assicurazi­oni e sono a costo zero per lo Stato. Inoltre è necessario reintrodur­re la flessibili­tà in uscita alla base della riforma Dini, consentend­o un pensioname­nto flessibile con, ad esempio, 64 di età anagrafica ( adeguata alla aspettativ­a di vita), con almeno 38 anni di contributi (“Quota 102”) di cui non più di 2 anni figurativi ( esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari) al fine di premiare/ incentivar­e il lavoro e non gli anni di permanenza nel sistema, rendendo stabile la pensione anticipata con circa 42 anni e 10 mesi per gli uomini ( 1 anno in meno per le donne) svincolata dall’aspettativ­a di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo. Si potrebbero inoltre prevedere anticipi per le donne madri ( 8 mesi per ogni figlio con un massimo di 24 mesi) e per i precoci ogni anno di lavoro prima dei 19 anni dovrebbe valere 1,25 anni. Infine, si dovrebbe reintrodur­re l’indicizzaz­ione delle pensioni all’inflazione ormai rinviata nell’ultimo decennio, nella misura del 100% fino a tre volte il minimo, 90% da tre a cinque volte il minimo e 75% oltre cinque volte la prestazion­e minima sulla quota di pensione “retributiv­a”. Mentre per quella contributi­va l’indicizzaz­ione dovrebbe essere pari al 100% eliminando l’iniquo taglio delle pensioni alte. Se si fosse proceduto con una riforma definitiva i numeri dei “salvaguard­ati” e i costi sarebbero stati inferiori ma soprattutt­o si sarebbe fatta più equità intergener­azionale.

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