CHI INVESTE NEL GREEN CHIEDE PIÙ TRASPARENZA
Lo scorso settembre il governo tedesco ha emesso il suo primo green bond. La domanda degli investitori ha totalizzato 33 miliardi di euro, ben oltre i 6,5 miliardi offerti, nonostante tassi d’interesse pari a zero. Guardando all’Europa, nel 2019 sono stati emessi green bond per un valore di circa 100 miliardi di euro, con 19 miliardi solo negli investimenti in nuove turbine eoliche.
È dunque corretto affermare che c’è un’elevata propensione a investire in ambito green. Quando all’inizio del 2020 è stato presentato il Piano di investimenti del Green Deal europeo, la Commissione europea ha individuato un fabbisogno finanziario di 1.000 miliardi di euro per i 10 anni successivi, da finanziare con investimenti pubblici e privati. La cifra era parsa enorme, anche se diventa ben più ragionevole alla luce dei numeri sopra menzionati.
L’eccesso di domanda è così elevato che a preoccuparmi non è tanto la mancanza di risorse finanziarie, quanto quella che può essere definita come una green bonanza. La regolamentazione non dovrebbe puntare a stimolare ulteriormente gli investimenti, poiché questo non farebbe che aumentare lo squilibrio. Al contrario, dovrebbe essere rafforzata l’offerta, ossia la disponibilità di investimenti sostenibili.
In questo contesto si inserisce il tema del greenwashing, che i grandi investitori, come i fondi pensione e le società di assicurazioni, vedono come un problema crescente. Ecco perché la regolamentazione dovrebbe puntare principalmente a classificare in modo chiaro le attività economiche sostenibili, oltre a consentire il confronto tra le diverse società, che spesso non sono semplicemente green obrown, o brown, ma si trovano piuttosto lungo un percorso verso la neutralità climatica.
L’informativa delle società in relazione agli aspetti Esg ( Environmental, social, and corporate governance) e ai fattori climatici in particolare è spesso insufficiente. I dati riguardano solo società specifiche, senza la possibilità di confronto, e nel caso di società non quotate i dati spesso non sono disponibili. Sono sempre di più gli investitori, tuttavia, che richiedono informazioni esaustive e comprensibili sull’impronta ecologica delle società quotate o degli emittenti obbligazionari.
Progressi enormi sono stati già
LE INFORMAZIONI SULL’IMPRONTA ECOLOGICA DELLE SOCIETÀ SONO ANCORA INSUFFICIENTI
fatti in termini di gestione sostenibile grazie alla tassonomia Ue: da gennaio 2022, società e istituti finanziari dovranno comunicare in che misura utilizzano le proprie attività e prodotti finanziari per contrastare il cambiamento climatico o per adattarvisi.
Tuttavia, la strada è ancora lunga, ed è molto importante che questa classificazione sia “aperta all’innovazione”. Chi può dire oggi se fra 10 anni la tecnologia a idrogeno si sarà affermata? O di quanto sarà aumentata l’efficienza delle batterie? È per questo che la tassonomia deve essere in grado di adattarsi ai rapidi sviluppi tecnologici.
In quantoasset quanto asset manager, abbiamo un dovere fiduciario nei confronti dei nostri clienti e il nostro compito è quello proteggere e aumentare il valore dei loro investimenti. Il monitoraggio continuo delle società in cui investiamo ruota attorno a due priorità: in primo luogo vogliamo sapere come la loro attività incide sull’ambiente, e in secondo luogo vogliamo capire come gli impatti ambientali incidono sulle società stesse. È chiaro che i rischi climatici sono particolarmente significativi nel lungo termine, e non limitati solamente ad effetti immediati, come temperature eccezionali, tempeste e precipitazioni. Allo stesso modo, anche i cosiddetti rischi di transizione legati al cambiamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio ( per industrie e aziende, ma anche per interi Stati) possono svolgere un ruolo fondamentale nella valutazione di un investimento.
Idealmente le aziende dovrebbero trasmettere il proprio reporting relativo al clima a un database centrale dell’Unione europea, a cui hanno accesso investitori e asset manager. Anche se questo difficilmente si verificherà nell’immediato futuro.
Gli investitori possono ( e sono pronti a) svolgere un ruolo importante nel contribuire alla trasformazione verso una net- zero economy, mentre i gestori di patrimoni sono disposti a ( e sono in grado di) indirizzare i fondi nel modo più efficace. A sostegno di questo impegno, gli ulteriori progressi dovranno essere sostenuti dalla trasparenza e dall’accesso a dati comparabili, allo scopo di consentire una classificazione standard e un monitoraggio continuo degli investimenti.