Borse al test dell’inflazione ( e dei tassi reali)
Primi segnali di chiusura della divaricazione tra economia e finanza
A lungo i mercati finanziari hanno vissuto in una dimensione propria: in preda a un’euforia propiziata dall’enorme liquidità riversata da Banche centrali e Governi per scongiurare gli effetti della crisi pandemica, hanno sostanzialmente ignorato i dati allarmanti provenienti dall’economia reale per involarsi verso territori inesplorati. La settimana appena conclusa, con le sue tensioni, ha però lanciato segnali significativi e mostrato prove di convergenza fra due mondi che negli ultimi dieci mesi hanno viaggiato su strade divergenti. Difficile per il momento capire se e quando avverrà il contatto e soprattutto quale sarà l’esatto punto di incontro: interrogativi non certo teorici, perché dalle risposte dipenderanno anche le sorti dei patrimoni di grandi e piccoli investitori.
Uno snodo fondamentale è rappresentato dall’aspettativa per un ritorno in grande stile della crescita economica, favorita dalle già citate misure di stimolo, che a sua volta potrebbe portare i mercati a riconsiderare le attese per un atteggiamento ultra- espansivo delle stesse Banche centrali. Finora il fenomeno è essenzialmente circoscritto agli Stati Uniti, dove si è verificato un rialzo dei tassi dei Treasury ( sulla scadenza decennale da inizio anno si è passati dallo 0,93% all’ 1,34%) che ha spinto di conseguenza i mercati a ricalibrare i portafogli di investimento. Il resto del mondo, e in particolare l’Europa, non può però considerarsi isolato da tale riposizionamento strategico.
« La frattura pericolosissima che si è creata nell’ultimo anno fra il mondo della finanza e quello dell’economia reale dovrebbe finalmente iniziare a ricomporsi » , spiega Salvatore Orlacchio responsabile del reddito fisso - Emea di Morgan Stanley, notando come idealmente debba essere l’economia reale ad avvicinarsi a ciò che i mercati scontano già da tempo. « Le aspettative di una forte ripresa economica - aggiunge - indicano che gli investitori confidano nell’efficacia della campagna dei vaccini, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, e puntano a una ripresa a forma di “v” più marcata delle attese » .
I movimenti sui rendimenti dei titoli di Stato e la possibilità di assistere a fasi di maggiore volatilità per le classi di investimento più rischiose sembrano essere un rischio potenzialmente necessario per arrivare al riallineamento. Chi si chiede infatti quanto possano crescere i rendimenti dei titoli di Stato Usa prima di impattare in maniera significativa ( e forse irreversibile) i mercati azionari e del credito, spesso evoca una « soglia di dolore » del 2%, che rischia però di essere fuorviante: « Il problema non è stabilire un livello preciso per i Treasury, ma il tempo che si impiega a raggiungerlo » , avverte Orlacchio.
Non si esclude infatti che il mercato sia in grado di « digerire » un aumento graduale, tale da riportare i tassi verso livelli più consoni alla norma. Tanto più se si tiene conto della spinta che potrebbe essere fornita dalla ripresa dai consumi negli Stati Uniti ( dove il surplus di risparmio ha raggiunto i 1.600 miliardi di dollari, pari all’ 8% del Pil) e dalla ripresa marcata degli investimenti in capitale delle imprese asiatiche. Lo sarebbe invece molto meno se il traguardo dei rendimenti dovesse essere raggiunto in soli due o tre mesi: « Significherebbe - ammette l’esperto di Morgan Stanley – anticipare ancora una volta la portata della ripresa economica » . E si tratterebbe in questo caso di una nuova « fuga in avanti » dei mercati. Il rischio più evidente è che le Banche Centrali in quel caso si troverebbero a dovere preannunciare una forte riduzione dello stimolo monetario ( il cosiddetto tapering), spaventando il mercato e provocando una correzione dei listini.
Per l’Europa, come già accennato, il discorso appare più complesso « perché le aspettative di crescita sono inferiori e la vaccinazione della popolazione procede più a rilento » , ma non per questo si può dire che manchi un « antidoto » alle vendite sui mercati. « La comunità degli investitori ha in genere aspettative molto moderate sull’Europa, che si traduce in un posizionamento limitato nel Vecchio Continente da parte dei fondi azionari nord americani e asiatici » , fa notare Orlacchio. Da un lato basta quindi poco per avere supporto dal mercato, come dimostra la reazione ai pur contrastanti dati sull’attività manifatturiera e dei servizi diffusi in questi giorni, dall’altro i vantaggi potenziali ottenibili nel lungo termine con il piano Next Generation Eu non possono essere sottostimati.
In ballo, nella svolta impressa dai Governi Ue la scorsa estate, non c’è soltanto la necessità di rialzare la testa dopo Covid, ma soprattutto l’opportunità di iniziare a correggere alcuni fra i difetti strutturali che da sempre frenano il Vecchio Continente. In questo ragionamento l’Italia può svolgere un ruolo cruciale, a maggior ragione dopo l’arrivo di Mario Draghi al Governo: « è una sfida fondamentale – ricorda Orlacchio - perché condurre in porto, in larga parte grazie a finanziamenti Europei, riforme tanto attese potrebbe anche cambiare rapidamente la narrativa che sta attorno all’Unione, sempre imprigionata in un cliché di area poco omogenea e composta da Paesi che non riescono a muoversi insieme » . Non è proprio come passare da ultimo vagone a locomotiva del Continente, ma per il nostro Paese avrebbe comunque il sapore di una importante rivincita.
Il brusco rialzo dei rendimenti dei bond Usa può innescare una rotazione degli investimenti