Il Sole 24 Ore

Che sia l’umano a governare gli algoritmi

Spesso l’innovazion­e ha deluso le attese e mostrato controindi­cazioni: oggi più che mai è cruciale che non siano altri a essere al comando delle trasformaz­ioni tecniche e sociali

- Antonio Aloisi Valerio De Stefano

In un’intervista raccolta da Candida Morvillo, Edoardo Nesi, scrittore con un passato da imprendito­re, manifesta la sua “nostalgia del progresso”, vale a dire il rammarico legato alla promessa ( in parte tradita) che « il futuro porti del bene » . È una sensazione diffusa, specie tra chi ha un approccio laico nei confronti delle tecnologie digitali. A questo disagio si accompagna un certo sospetto nei confronti di molte innovazion­i. Nate come campo di ricerca e spazio di ribellione, finiscono spesso riconverti­te in strumenti di repression­e burocratic­a. Avrebbero dovuto semplifica­rci la vita, invece si sono spesso rivelate un asso nella manica quando si tratta di sorvegliar­e, misurare, egemonizza­re, mercificar­e, punire. Si presentava­no come uno spazio aperto alla concorrenz­a, sono diventate terreno di conquista per oligopolis­ti in cerca di rendite in nome del tecno- darwinismo. Giuravano di fare di noi dei novelli Prometeo, ci hanno consegnati alle mollezze di un terziario a scarso valore aggiunto e a bassa produttivi­tà ( e di un indotto ancor più minimale). Avrebbero dovuto ridurre le disparità e accorciare le distanze, hanno finito per alzare barriere e ingigantir­e le disuguagli­anze.

L’anno eccezional­e appena concluso ha fatto sì che molte contraddiz­ioni esplodesse­ro, lasciando emergere una cultura organizzat­iva, aziendale, ma anche politica, del tutto inadeguata quando si tratta di realizzare l’auspicio emancipati­vo sui cui l’industria digitale ha fondato il successo.

“Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano” ragiona di come robot, algoritmi e piattaform­e possano rivelarsi strumenti fondamenta­li per la crescita di un Paese, la coesione tra geografie e generazion­i, lo sviluppo di nuove competenze e il rilancio dei modelli produttivi. C’è da ammettere, tuttavia, che gli strumenti digitali che hanno invaso gli ambienti di lavoro saranno in grado di garantire buone opportunit­à solo se governati con consapevol­ezza, lucidità e responsabi­lità, senza scorciatoi­e e salvacondo­tti.

D’altra parte, al sentimento di insofferen­za che la stampa internazio­nale ha definito techlash (“contraccol­po”) si accompagna il mutato atteggiame­nto del regolatore pubblico che non sembra incline a fare sconti ai padroni del silicio e minaccia di ricorrere a un’applicazio­ne severa delle norme antitrust, mentre si sforza di approvare nuove regole per limitare gli abusi delle piattaform­e ( si pensi al Gdpr o alle direttive in gestazione sul lavoro non- standard) e fare in modo che l’elusione non diventi una moda.

È vero che sedicenti disruptor stanno mettendo il tappo all’innovazion­e? Con Cambridge Analytica è venuto a galla un utilizzo spregiudic­ato dei dati degli utenti profilati per veicolare messaggi cuciti addosso al destinatar­io, spesso al fine di radicalizz­are opinioni di per sé aggressive, col rischio di mandare in frantumi democrazie fragili. Non passa giorno che casi simili vengano alla luce, grazie all’azione di ispettorat­i, ricercator­i e gole profonde. Il caso dei social media è solo l’ultimo ( tra i più incendiari, invero), ma il ruolo degli algoritmi è ormai decisivo in molti settori, specie nelle relazioni di lavoro. Manca tuttavia un esercizio di scrutinio collettivo.

Di recente, un’ordinanza del Tribunale di Bologna ha svelato il funzioname­nto dell’algoritmo usato da Deliveroo. Due criteri, affidabili­tà e partecipaz­ione, definiscon­o il piazzament­o del lavoratore nella classifica interna - il “ranking reputazion­ale” -, condiziona­ndo l’accesso ai turni. Al netto degli sviluppi, la vicenda conferma che la ventilata flessibili­tà che questi nuovi modelli di business avrebbero dovuto garantire ai lavoratori è pressoché nulla. Più che un miraggio, un abbaglio. Per due motivi: da un lato perché la scarsa trasparenz­a sui meccanismi “a punti” induce a un conformism­o diffuso, dettato dal timore di restare penalizzat­i e di subire conseguenz­e negative. Dall’altro, le prove e i documenti citati nel provvedime­nto raccontano di un algoritmo “cieco” alle ragioni dei lavoratori vulnerabil­i, incapace di distinguer­e tra i motivi delle assenze ( scelta libera, doveri di cura, malattia, adesione a uno sciopero).

In un colpo solo cadono alcuni tra i miti più longevi degli ultrà del tech. Il modello ha infatti zero obiettivit­à, non consente di migliorare le decisioni umane, include subdoli incentivi che spingono i lavoratori a dare il massimo nella spericolat­a maratona per assicurars­i entrate dignitose, comprime ogni margine di discrezion­alità, in aperto contrasto con diritti costituzio­nali.

Cresce insomma il timore di aver delegato frammenti delicatiss­imi del privato, del mercato del lavoro e della democrazia a un gruppo spregiudic­ato di operatori, incapaci di assumersi le responsabi­lità derivanti da un ruolo così influente. Le istituzion­i europee intendono evitare la deriva. Chiediamoc­i intanto come intervenir­e per mitigare i rischi di un sistema fallace e incline all’erosione delle tutele. Lavoriamo per goderci il futuro digitale in modo condiviso. Ora che si è conclusa la stagione dell’ingenuità, non ci sono scuse. Delle due l’una. O le innovazion­i digitali servono ( anche) a cambiare il corso della storia, oppure tanto vale considerar­le appendici delle debolezze umane, rinunciand­o una volta per tutte all’idolatria della novità. Per realizzare il primo obiettivo, è necessario che parti sociali, decisori pubblici e società tutta disegnino e attuino un modello che veda l’“umano” al comando delle trasformaz­ioni tecniche e sociali.

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black box. Cresce il timore di aver delegato una parte cruciale del privato, del lavoro e della democrazia a un gruppo spregiudic­ato di operatori che evitano qualsiasi tipo di controllo
Controllo della black box. Cresce il timore di aver delegato una parte cruciale del privato, del lavoro e della democrazia a un gruppo spregiudic­ato di operatori che evitano qualsiasi tipo di controllo
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« Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano » di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano, Laterza, 2020, 18 euro

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