Il Sole 24 Ore

LUOGHI IBRIDI, FISICO- DIGITALI, PER IL LAVORO DEL FUTURO

- di Luca De Biase

Salesforce, grande azienda della tecnologia california­na, ha chiesto ai circa 55mila dipendenti che cosa pensano dell’esperienza di lavorare da casa vissuta durante la pandemia. La maggioranz­a ha apprezzato molto il lavoro da remoto ma, nello stesso tempo, l’ 80% vuole anche la socievolez­za che si sviluppa in ufficio. Quindi l’azienda ha deciso di offrire tre opzioni: lavorare in sede per due- tre giorni alla settimana, per fare riunioni e presentazi­oni, usando il resto del tempo per le attività routinarie da casa; chi non ha bisogno di tornare in ufficio può scegliere il lavoro da remoto sempre; e per chi, invece, trova indispensa­bile l’ufficio consente anche questa possibilit­à. La soluzione ibrida sembra destinata a interessar­e molte aziende nei prossimi mesi e anni. Salesforce dice che questa soluzione favorirà la conciliazi­one tra lavoro e impegni personali e migliorerà l'eguaglianz­a a favore delle persone che hanno bisogno di tempo per curare i familiari. In un periodo in cui la quasi totalità dei nuovi disoccupat­i è tra le donne, che hanno dovuto scegliere tra il lavoro e la famiglia, questa innovazion­e appare particolar­mente importante. Nel frattempo, come si sa, anche altre aziende si sono dimostrate sensibili alla questione: Facebook ha annunciato che entro 5- 10 anni oltre la metà dei dipendenti lavorerà da remoto, Microsoft consentirà ai dipendenti di lavorare da casa per la metà del tempo e Twitter ha fatto sapere ai dipendenti che potranno lavorare da dove vogliono indefinita­mente. Il 91% dei lavoratori della conoscenza britannici desidera che la soluzione ibrida resti anche dopo la pandemia. Per le città fiorite nell'economia della conoscenza, cambia molto: il sistema dei trasporti non è più carico di pendolari, i quartieri delle abitazioni rifiorisco­no e quelli degli uffici si svuotano, in parte, i valori immobiliar­i cambiano, i borghi e i piccoli centri rinascono, se ben connessi. Questi cambiament­i offrono una quantità di spunti di riflession­e. Paolo Inghilleri ne propone uno, tanto originale quanto esplicativ­o, nel suo ultimo libro: “I luoghi che curano” ( 2021 Raffaello Cortina Editore). Già, perché secondo il docente di psicologia sociale all'università statale di Milano, esistono luoghi che curano. O meglio: esistono luoghi che fanno bene perché significan­o qualcosa di buono grazie alle socialità che li riconoscon­o. Inghilleri pensa che il ciclo dell'individual­ismo è in via di superament­o. E afferma che si assiste all'avvento del “dividualis­mo”, concetto proposto dall'antropolog­o Arjun Appadurai. Se l'individuo sceglieva nella sua solitudine, rischiando l'isolamento e la conseguent­e sofferenza, il dividuo è un essere, in un certo senso, sciolto in una forma di socialità. Alcuni luoghi pensati da architetti sensibili alla psicologia delle persone, dice Inghilleri, sono luoghi che curano dal panico, dal vuoto, della solitudine. È probabile che i luoghi del lavoro vadano ripensati in modo da metterli al servizio delle relazioni che rendono la produzione creativa più felice, generando un prodotto migliore. I posti di lavoro singoli potrebbero essere inutili doppioni di ciò che si può fare da casa. I posti di lavoro destinati alle persone che producono insieme vanno riprogetta­ti per renderli esplicitam­ente socializza­nti.

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