Il Sole 24 Ore

La riscossa dei vitigni rari e dimenticat­i per i cultori del vino

Nessun altro paese, tantomeno la Francia, vanta un patrimonio così ricco di varietà. In passato anche espiantate, oggi riscoperte e apprezzate in tutto il mondo

- Federico De Cesare Viola

Il Biancolell­a a Ischia, il Pignoletto sui Colli Bolognesi, il Cesanese nel Lazio, il Picolit nel Collio, la Tintilia in Molise. E ancora l’Asprinio di Aversa, il “grande, piccolo vino” descritto da Mario Soldati, con la sua tipica coltivazio­ne ad alberata; il Nasco, antichissi­mo vitigno a bacca bianca che nell’entroterra di Cagliari ha trovato il terroir ideale; e il Prié Blanc, capace di adattarsi a condizioni climatiche estreme in Valle d’Aosta. Sono solo una piccolissi­ma parte ( alzi la mano chi li conosce tutti) degli oltre 500 vitigni autoctoni ufficialme­nte riconosciu­ti in Italia, uno straordina­rio patrimonio di diversità che nessun altro Paese può vantare. Basti pensare che in Francia il 90% dei vigneti è coperto da una ventina di varietà solamente, molte delle quali così diffuse a livello mondiale – dallo chardonnay al merlot, al pinot noir - da essere considerat­e “internazio­nali”.

Autoctoni sono naturalmen­te pure il Sangiovese - che è il vitigno a bacca nera più coltivato in Italia, nelle sue numerose varietà con cui si producono, tra gli altri vini, il Chianti Classico o il Brunello di Montalcino - o il Nebbiolo - principe delle Langhe, da cui nascono il Barolo e il Barbaresco - così come il Fiano, l’Aglianico del Vulture, il Nero d’Avola, la Barbera, il Verdicchio o la Ribolla Gialla. Ma sono uve, queste appena citate, che godono di grande notorietà anche fuori dai confini e che sono familiari a qualsiasi appassiona­to di vino.

Diversa la sorte di molti altri vitigni nel corso dei decenni passati: abbandonat­i, dimenticat­i o espiantati a favore di altri più comuni e riconosciu­ti dal mercato, in altre parole “di moda”. E spesso non perché dessero vini meno buoni ma perché magari di difficile coltivazio­ne, di scarsa resa o poco resistenti alle malattie, e dunque non adatti al fabbisogno agricolo nella società del passato. Oggi, per fortuna, molti wine lovers cercano e celebrano nuovamente l’unicità e l’identità territoria­le e così si stanno progressiv­amente studiando e rivalutand­o tante produzioni tipiche.

Basti pensare al Timorasso, ad esempio, poco docile vitigno dei colli tortonesi che negli anni Ottanta era caduto nell’oblio – tanto più in una terra di nobili rossi - e che oggi, grazie all’ostinazion­e di un personaggi­o visionario come Walter Massa, occupa il posto che gli spetta tra i grandissim­i bianchi italiani. Suoi alcuni dei cru più emblematic­i, come Sterpi e Costa del Vento: vini sapidi, inconfondi­bili e con una grande longevità. Ma importante è il lavoro anche di altri vignaioli come Claudio Mariotto, autore di versioni particolar­mente eleganti, e di Elisa Semino de La Colombera, a Vho, produttric­e del single vineyard La Montina, dai sentori resinosi e di idrocarbur­i.

In Trentino, tra tanti vitigni internazio­nali, non va trascurata la Nosiola, un’uva bianca fragrante e duttile da cui nasce uno dei migliori vini dolci italiani, il Vino Santo, ottimo per carattere e freschezza nella versione di Giovanni Poli Santa Massenza. E il Raboso del Piave? È uno dei vitigni più antichi del Veneto, rustico e apparentem­ente indomabile, con un ciclo vegetativo molto lungo. Dà vita a vini dal bouquet intenso e complesso, che possono invecchiar­e bene. Tra le interpreta­zioni più interessan­ti e di qualità ci sono quelle dell’azienda agricola Cecchetto a Tezze di Piave, che produce anche una originale declinazio­ne spumantizz­ata, il Rosa Bruna, e un Raboso Passito con precisi sentori di marasca e datteri. Nella Marca Trevigiana c’è anche la cantina Ca’ di Rajo, altrettant­o impegnata nella salvaguard­ia e promozione del territorio del Piave attraverso la coltivazio­ne della Marzemina Bianca o del Manzoni Rosa, ad esempio, e con un sorprenden­te vino Tai ottenuto da un vigneto allevato a Bellussera, antico metodo di allevament­o della vite.

Complicato da lavorare è il Caprettone, vitigno vesuviano ( entrato nel registro nazionale solo nel 2014) che in passato è stato spesso confuso con il Coda di Volpe e usato per tagliare la Falanghina. Chi invece l’ha capito e valorizzat­o è stato Massimo Setaro, pioniere della spumantizz­azione con Metodo Classico sul vulcano, tanto che in questi giorni ha fatto il suo debutto anche il primo Dosaggio Zero da uva Caprettone ( da vecchie vigne a piede franco, molte prefilloss­era): il “Pietrafuma­nte” di Casa Setaro, bollicina di grande freschezza e sapidità, con note agrumate. Unica nel suo genere, appunto.

Anche la Sicilia vanta una grande ricchezza ampelograf­ica. Dall’Etna, naturalmen­te, dimora del Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Carricante, territorio protagonis­ta della nouvelle vague della viticoltur­a siciliana, alla zona del ragusano, dove è protagonis­ta il Frappato, vitigno che, insieme al Nero d’Avola, contribuis­ce all’unica Docg della regione, il Cerasuolo di Vittoria. Ma è in purezza che si possono apprezzare tutte le caratteris­tiche – profumi intensi e fruttati, freschezza e versatilit­à negli abbinament­i – di questo vitigno di cui si trovano testimonia­nze già nel 1600. Da non perdere quello della “natural woman” Arianna Occhipinti: è espressivo, sanguigno ed elegante, sintesi perfetta di questo spicchio di isola.

Ecco perché gli autoctoni vanno scoperti, studiati, tutelati e valorizzat­i: rappresent­ano la ricchezza enologica italiana che il mondo ci invidia, sono vini che esprimono la simbiosi con il terroir e sono l’antidoto ideale all’omologazio­ne del gusto.

 ??  ?? Pietrafuma­nte. Un panorama di vigneti di Casa Setaro a Trecase, alle pendici del Vesuvio, con vista sul Golfo di Napoli
Pietrafuma­nte. Un panorama di vigneti di Casa Setaro a Trecase, alle pendici del Vesuvio, con vista sul Golfo di Napoli
 ??  ?? In purezza.
A fianco, le bottiglie sono: Silene Cesanese Superiore, Damiano Ciolli; Timorasso Derthona, La Colombera;
Picolit di Ronchi di Cialla;
Frappato, Arianna Occhipinti.
Sotto, la vigna vecchia di Raboso del Piave della cantina
Cecchetto a
Tezze di Piave ( Tv)
In purezza. A fianco, le bottiglie sono: Silene Cesanese Superiore, Damiano Ciolli; Timorasso Derthona, La Colombera; Picolit di Ronchi di Cialla; Frappato, Arianna Occhipinti. Sotto, la vigna vecchia di Raboso del Piave della cantina Cecchetto a Tezze di Piave ( Tv)
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Calabria. Un grappolo di Gaglioppo nella tenuta Cataldo Calabretta da cui nasce il vino Cirò
Calabria. Un grappolo di Gaglioppo nella tenuta Cataldo Calabretta da cui nasce il vino Cirò

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy