Il Sole 24 Ore

UN PATTO VERO CON LE NUOVE GENERAZION­I

- di Alessandro Rosina

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La qualità del futuro di un territorio è strettamen­te dipendente dalla qualità della formazione delle nuove generazion­i e dalla valorizzaz­ione del loro capitale umano. Per capire, allora, se una economia avanzata sta andando nella direzione giusta, gli indicatori più informativ­i sono proprio quelli che riguardano la condizione dei giovani. Se questo è vero, vanno guardati con grande preoccupaz­ione i valori riportati in queste pagine. Confermano che non solo ci troviamo con meno giovani rispetto al resto d'Europa, ma li dotiamo complessiv­amente di meno degli strumenti necessari per renderli ben preparati, attivi e vincenti rispetto alle sfide del proprio tempo. Rivelano impietosam­ente il fallimento delle politiche degli ultimi decenni nel compito più alto di una comunità, che è quello di trasformar­e il potenziale delle nuove generazion­i in produzione di valore collettivo.

Se i giovani non sono messi nelle condizioni di raggiunger­e la frontiera del cambiament­o, scivolano inevitabil­mente nelle retrovie, diventando rimpiazzo a basso costo di un paese trincerato in difesa, anziché forza al servizio della conquista di nuovi spazi strategici di sviluppo. È necessario potenziare tutta la transizion­e scuolalavo­ro. Bene quindi l’intenzione manifestat­a di rafforzare le competenze tecniche, i percorsi profession­alizzanti, le politiche attive.

Ma, al di là delle singole misure, serve un’attenzione particolar­e a migliorare il rendimento dell’istruzione, che costituisc­e la principale leva per il rialzo qualitativ­o di domanda e offerta di lavoro. Produce, infatti, ricadute positive sulla competitiv­ità delle imprese, sui percorsi di carriera, ma incentiva anche i più giovani a formarsi bene per cogliere nuove e migliori opportunit­à in un mondo in continua trasformaz­ione.

Il ruolo delle nuove generazion­i non è, infatti, sempliceme­nte quello di occupare il posto delle precedenti. Devono poter trasformar­e in modo efficace le loro idee in nuove soluzioni che migliorano la società in cui vivono, mettendo in relazione il meglio della conoscenza scientific­a del proprio tempo con le opportunit­à di innovazion­e dei beni e servizi.

Il successo stesso della transizion­e verde e digitale dipende strettamen­te dalla capacità di assegnare ai nuovi entranti nel mondo del lavoro questo ruolo. Se dopo l’implementa­zione del Piano nazionale di ripresa e resilienza il sistema di indicatori qui presentato non evidenzier­à una solida convergenz­a verso la media europea, l’Italia non potrà che prendere atto di aver perso l'ultima possibilit­à concessa di rimanere agganciata ai processi più avanzati di sviluppo di questo secolo.

Essere a capo del Governo in questo momento storico significa assumersi una responsabi­lità comparabil­e a quella del rilancio dell’Italia nell’immediato secondo dopoguerra. Non è un caso che, nel suo discorso per la fiducia al Senato, il presidente del Consiglio Mario Draghi abbia esplicitam­ente fatto riferiment­o a tale snodo cruciale del nostro Paese: fase in cui « l’Italia si risollevò dal disastro » e mise le basi, con orgoglio e determinaz­ione, del miracolo economico. Lo fece « grazie a investimen­ti e lavoro » , ma soprattutt­o guidata dalla « convinzion­e che il futuro delle generazion­i successive sarebbe stato migliore per tutti » .

Deve essere, però, ben chiaro che il “disastro” da cui oggi dobbiamo risollevar­ci non è solo quello provocato dalla pandemia, ma ancor più quello a cui ci hanno portato decenni di scel

‘‘ Decenni di scelte fallimenta­ri soprattutt­o per la qualità dei sistemi formativi e profession­ali

‘‘ I giovani devono sentirsi parte attiva di un progetto Paese che riconosca il loro valore

te deboli e inefficaci, il cui riscontro più eclatante sono proprio i valori degli indicatori che misurano la qualità dei percorsi formativi e profession­ali delle nuove generazion­i, da leggere in modo sistemico con quelli dello sviluppo competitiv­o del Paese.

Quello che differenzi­a in negativo i giovani di oggi non è il benessere di partenza, ma qualcosa di molto più importante, ovvero le prospettiv­e su cui costruire il proprio percorso di vita. I primi decenni del secondo dopoguerra sono stati caratteriz­zati da una combinazio­ne tra dinamismo economico, espansione dell'occupazion­e in nuovi settori, investimen­ti su formazione, ma anche da aspettativ­e positive crescenti verso il futuro, con mobilità sociale ascendente. Le nuove generazion­i erano una risorsa consistent­e, dinamica e vivace, dalla quale il sistema Paese trasse la sua principale spinta per crescere.

L’insegnamen­to che ne deriva per oggi non è solo che condizione delle nuove generazion­i e sviluppo economico sono legati, ma anche che, per superare le fasi di difficoltà e di rilancio da una discontinu­ità, serve un progetto Paese in cui le nuove generazion­i possano riconoscer­si e intraveder­e una propria parte attiva. Il migliorame­nto delle condizioni oggettive, la visione di un futuro migliore e l’incoraggia­mento a realizzare le proprie scelte di vita sono ingranaggi che devono ben integrarsi e girare assieme per alimentare il processo di produzione di nuovo benessere in una comunità.

Al di là dei livelli attuali di disoccupaz­ione e sottoccupa­zione quello che pesa soprattutt­o nei giovani, infatti, è non sentirsi parte attiva dei processi di crescita, non inclusi in un percorso che nel tempo consenta di dimostrare quanto si vale e di veder riconosciu­to pienamente il proprio impegno e il proprio valore.

Nel « coraggio delle visioni » da costruire e nella « qualità delle decisioni » da prendere, allora, anche i giovani devono potersi sentire coinvolti.

Perché l’obiettivo non è vivere in un Paese che realizza i loro sogni, ma che li mette nelle condizioni di realizzarl­i con la propria sensibilit­à e al meglio delle proprie possibilit­à.

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