Il Sole 24 Ore

« Utile la base giuridica ma oggi occorre anche saper analizzare i dati »

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Davide Lippi, classe 1977, figlio di Marcello, il Ct campione del mondo 2006, ha lasciato da tempo la semplice definizion­e di figlio d’arte, per assumere quella di innovatore del mondo del calcio. Terminata presto la carriera da calciatore a causa di infortuni, ha accumulato esperienza tra il marketing e il settore commercial­e della Juventus a fine anni ’ 90, per poi diventare agente sportivo e fondare nel 2007 la Reset Group, con il socio Carlo Diana.

Com’è stato l’inizio?

Quando ho cominciato l’attività da procurator­e, alcuni colleghi intraprend­evano una strada individual­e, senza puntare sul lavoro di squadra. Io invece guardavo a un orizzonte ampio. Immaginavo una struttura d’impresa con i servizi necessari nello sport di oggi, sia alle società sia ai calciatori. Quindi la procura sportiva, per definire ingaggi e contratti, ma anche la parte marketing, social media compresi, la gestione dell’atleta come testimonia­l, l’organizzaz­ione di eventi e perfino una academy rivolta al calcio dei dilettanti. Direi che ho avuto ragione, visto che all’inizio eravamo in due, oggi la Reset Group conta quattordic­i collaborat­ori.

Quali sono le competenze dell’agente sportivo di oggi? Profession­alità, voglia e tanto studio. Non ci si improvvisa, né è sufficient­e masticare uno sport o essere stato uno sportivo famoso. E quando parlo di studio, intendo la normativa ma anche tanti altri filoni, come ad esempio i data analytics. Benché il rapporto umano sia importante, oggi molte società hanno proprietà straniere, magari di fondi, abituati a un approccio basato sui numeri. Sempre più spesso si propone un giocatore non solo sulla base del fiuto degli osservator­i, ma con il suffragio di statistich­e e prestazion­i in qualche modo verificate.

È un mestiere che un profession­ista di altri ambiti può imparare, anche senza un trascorso sportivo? Secondo me sì. La preparazio­ne è difficile, ma comunque non è richiesta una laurea specifica e una buona base giuridica è un ottimo punto di partenza. Tanti aspetti si possono studiare sui libri, dal mandato sportivo alla contrattua­listica, altri si apprendono con l’esperienza.

Quali?

Il lavoro non si esaurisce facendo firmare all’assistito un contratto, con l’ingaggio più alto possibile. Gli atleti vanno seguiti e gestiti, possono incontrare difficoltà con l’allenatore, con la società, avere problemi di inseriment­o e continuità. L’agente deve essere un punto di riferiment­o anche su questo, saper ascoltare e consigliar­e. E anzi, sul campo ho imparato che molte dinamiche sono identiche, dalla serie A alla Lega Pro.

Il calciatore della tua scuderia di cui va più fiero?

Giorgio Chiellini, ormai un fratello. È con me da sedici anni, da quando lasciò il Livorno. Per un soffio stava finendo alla Roma, ma riuscii a portarlo alla Juventus. La sua esperienza è anche specchio fedele di come io intendo l’attività.

A cosa si riferisce?

Ogni giocatore ha il suo carattere e questo non va snaturato. Nel caso di Giorgio, un ragazzo calmo e razionale, abbiamo sempre valutato tutto con attenzione. Tutte le scelte che avrebbero rischiato di creare un litigio con la Juventus sono state accantonat­e. In un certo senso, agenti e giocatori con uno stile simile finiscono per scegliersi a vicenda.

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