Il Sole 24 Ore

OPERAZIONI STRAORDINA­RIE E APPALTI: IL NODO « DURF »

- di Giorgio Gavelli

Le ristruttur­azioni societarie delle imprese partecipan­ti agli appalti trovano un vincolo nella disciplina che impone al committent­e una sorta di vigilanza sui versamenti erariali della filiera ( introdotta dall’articolo 4 del Dl 124/ 2019). Il punto nodale sta nell’otteniment­o, da parte dei prestatori, della certificaz­ione di sussistenz­a dei requisiti di “regolarità fiscale”, in modo da evitare ( per quattro mesi dalla data del rilascio) il complesso meccanismo di blocco alle compensazi­oni e di allerta del committent­e. Oltre al requisito di non avere carichi fiscali scaduti e non sospesi superiori a 50mila euro, per il certificat­o è necessario che il richiedent­e risulti in attività da almeno tre anni, sia in regola con gli obblighi dichiarati­vi e abbia eseguito, nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscon­o le dichiarazi­oni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, versamenti complessiv­i registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazi­oni medesime.

Le operazioni straordina­rie

Le condivisib­ili affermazio­ni della risoluzion­e 53/ E/ 2020 hanno sbloccato l’utilizzo nel computo della cosiddetta “imposta teorica” ai fini dei calcoli sui versamenti di cui al comma 5 dell’articolo 17- bis del Dlgs 241/ 97, risolvendo le situazioni dove vi è prevalenza di operazioni in split payment, in reverse charge o si sia optato per i regimi di consolidat­o e trasparenz­a fiscale.

Tuttavia, non sono state affrontate le situazioni dei soggetti interessat­i da operazioni straordina­rie. Se, infatti, una trasformaz­ione societaria non comporta alcun problema, così non è per fusioni, scissioni, conferimen­ti, cessioni e affitti di azienda. Gli ostacoli, a ben vedere, sono di doppia natura.

Il primo “paletto” che può scattare è quello dei tre anni di attività: controllo che, sembra di capire, viene effettuato sulla data di apertura della partita Iva. Potrebbero risultare “non regolari” la società beneficiar­ia, quella emergente da una fusione propria e la conferitar­ia, laddove costituite in occasione dell’operazione straordina­ria ( cosiddette newco). Se l’attività per la quale si richiede il Durf è compresa nel ramo di azienda scisso o conferito, il rischio è che per tre anni vi sia un blocco, con i conseguent­i problemi per la partecipaz­ione agli appalti.

Anche se si supera lo scoglio “anzianità” del soggetto, tuttavia, è evidente che ci si imbatte nel secondo “paletto”: la newco non avrà alle spalle dichiarazi­oni presentate, né versamenti “capienti” operati sul conto fiscale. Eppure, se pensiamo che essa potrebbe essere la società risultante dalla fusione di due strutture preesisten­ti ampiamente dotate dei requisiti richiesti, ovvero la beneficiar­ia di una scissa altrettant­o “meritevole” che decide di scindere il “ramo appalti”, negare il Durf potrebbe creare problemi in situazioni dove non dovrebbero sorgerne.

Anche in queste ipotesi ( come in alcuni dei casi esaminati dalla citata risoluzion­e 53/ E) si potrebbe giungere a riconoscer­e, a determinat­e condizioni, una continuità tra dante causa e avente causa, con consideraz­ioni che potrebbero estendersi anche al conferimen­to e all’affitto/ cessione di azienda. In fondo, ciò è stato fatto altre volte, ad esempio per i calcoli necessari ai fini del contributo a fondo perduto di cui all’articolo 25 del decreto Rilancio 34/ 20 ( circolare 15/ E/ 2020). Si tratta di contempera­re le esigenze di tutela fiscale che hanno generato questi meccanismi con quelle, di natura squisitame­nte imprendito­riale, che guidano l’allocazion­e più efficace ed efficiente delle risorse aziendali.

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