Il Sole 24 Ore

Lettere d’intento, venditore salvo con tre controlli « ragionevol­i »

Non sanzionato il cedente che prova di aver fatto verifiche adeguate all’affare

- Marco Nessi Roberto Torelli

La cessione è avvenuta dopo aver richiesto visura, bilancio di esercizio e modello Iva

Il Fisco non può contestare al venditore l’indebita emissione di fatture in sospension­e di imposta ex articolo 8, comma 1, lettera c) del Dpr 633/ 72 a seguito di dichiarazi­oni d’intento false emesse dall’acquirente. A patto che il cedente dimostri di avere agito in buona fede, avendo adottato misure di controllo proporzion­ate e adeguate in relazione alla fattispeci­e concreta. È questo il principio enunciato dalla Ctr di Milano nella sentenza 3175/ 1/ 2020 depositata in data 24 dicembre 2020 ( presidente e relatore Labruna).

Nel caso in esame l’ufficio contestava a una società l’indebita emissione di fatture non imponibili a fronte di dichiarazi­oni d’intento ideologica­mente false emesse dal proprio cliente. Secondo l’ufficio la responsabi­lità del cedente ruotava intorno al fatto che doveva ritenersi consapevol­e dell’assenza in capo al cessionari­o della qualifica di esportator­e abituale, in quanto, nonostante la riconosciu­ta piena regolarità formale della documentaz­ione trasmessa dal cessionari­o, non aveva effettuato alcun controllo circa l’effettiva situazione del cessionari­o, che risultava essere privo di struttura aziendale e avere successiva­mente ceduto sottocosto i beni acquistati. Inoltre, secondo l’ufficio, la società avrebbe così conseguito un vantaggio economico, incrementa­ndo le vendite con effetti positivi sul fatturato e sugli indici di liquidità.

I controlli del venditore

Contro l’atto il venditore presentava ricorso al giudice tributario, eccependo la propria buona fede, sostenendo di aver posto in essere tutti i controlli che ragionevol­mente possono essere richiesti a un operatore commercial­e, non potendo, peraltro, effettuare i controlli pretesi dall’ufficio impositore in quanto non dotata dei poteri di ispezione e verifica attribuiti alla amministra­zione fiscale. In particolar­e, la società verificata dimostrava:

1. di avere, fin dall’inizio dei rapporti commercial­i con il cessionari­o/ esportator­e abituale, proceduto a richiedere la copia della visura camerale e del bilancio di esercizio;

2. di aver chiesto anche la copia della dichiarazi­one Iva e della relativa ricevuta di presentazi­one per verificare l’effettiva esistenza del plafond utilizzabi­le;

3. di aver proceduto alla cessione dei beni solo dopo l’acquisizio­ne di tale documentaz­ione e delle richieste dichiarazi­oni d’intento, delle quali è stata accertata l’avvenuta trasmissio­ne alle Entrate.

Sia i giudici di primo grado che quelli di appello hanno accolto il ricorso del contribuen­te e affermato l’infondatez­za della pretesa erariale. In particolar­e la Ctr lombarda, dopo avere chiarito che la questione che si pone è quella relativa all’intensità del controllo che può essere preteso dal cedente sulle dichiarazi­oni di intento che gli sono state esibite dal cessionari­o, ha stabilito che tale controllo non può eccedere ciò che può essere ragionevol­mente richiesto a un operatore commercial­e e, nel caso in esame, è stato proporzion­ato e adeguato.

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