Il Sole 24 Ore

TEMPI LUNGHI PER UN FONDO SOVRANO DEDICATO A PMI

- di Giovanni Tamburi—

Mario Draghi è noto al grande pubblico per il suo « whatever it takes » e per aver guidato in modo magistrale la Bce. All’Italia ha però dato altri contributi di alto livello, tra cui quello di aver stimolato e seguito molte importanti privatizza­zioni. In un Paese come il nostro da sempre incline a scaricare le società in perdita sullo Stato, quella svolta, da Giuliano Amato in poi, è stata fondamenta­le per far evolvere la mentalità degli operatori economici e per far crescere i mercati finanziari. Senza, la Borsa italiana sarebbe ancora quella realtà quasi insignific­ante che avevamo visto fino ai primi anni novanta.

Oggi, post- Covid, ma più che altro a seguito delle affermazio­ni di Draghi in Senato sul fatto che « il ruolo della Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione » si cominciano ad avvertire le frustrazio­ni di coloro che auspicavan­o si desse vita a un fondo sovrano destinato alle Pmi, dotato di centinaia di miliardi di euro. Sarebbe stato – e sarebbe – un grosso errore per come qualcuno lo stava immaginand­o. Non perché le aziende italiane non abbiano bisogno di crescere in termini di patrimonia­lizzazione, ma perché di fatto i soldi dello Stato spesi male darebbero vita a una nuova Iri, a una ulteriore Gepi, forse anche simile a quell’Efim ( ed Egam) che troppi hanno dimenticat­o. Nessuno ha mai fatto il calcolo di quanto sia costata l’avventura di quei tre enti. Di certo l’intero debito pubblico italiano verrebbe fortemente ridimensio­nato se si escludesse l’incidenza delle perdite di quelle tristissim­e storie. Ma il danno ancor maggiore attribuibi­le a quegli enti è stato a livello culturale, perché per decenni hanno tolto stimoli all’imprendito­ria privata e contribuit­o a generare quella ( voluta) sottocapit­alizzazion­e delle nostre imprese. Per carità, di cose buone in simili coacervi ce ne sono state, ma poche rispetto al resto. Il grosso del lascito di quel tipo di storie, che peraltro non si sono fermate agli enti citati ma hanno avuto vari emuli più piccoli, a volte a carattere territoria­le ma non meno dannosi, è stato infatti pesantemen­te negativo.

Da quell’eredità è nato un nuovo corso della Cdp – che ha fatto, come tutti, qualche errore – ma che sta dando buoni contributi al sistema industrial­e. Dalle startuptec­nologiche startup tecnologic­he alla Telecom, da possibili ruoli per sciogliere il nodo Autostrade al sostegno, con debito e con equity, a molte medie imprese. Non le piccole, ma le medie, cercando di rompere quell’abitudine da incompeten­ti di mescolare, con l’insignific­ante definizion­e di Pmi, dimensioni aziendali del tutto diverse e struttural­mente incompatib­ili.

Sono le medie imprese che rappresent­ano e devono ancor più rappresent­are l’asse portante del futuro industrial­e del nostro Paese. Ed è lì che si deve incidere.

Il Covid ha finora portato alle imprese molti soldi garantiti dalla Sace, sempre come debiti. Lo stesso stessotemp­o- tempo

rary framework, che sta muovendo i primi passi, di fatto propone prestiti. Giustament­e, perché il fondo perduto ha sempre nuociuto alle aziende, perché ha tolto disciplina e creato distorsion­i, anomalie, facilitazi­oni che non possono essere mai eque. Altrettant­o correttame­nte lo Stato ha finora sanato, con contributi a fondo perduto, più che altro le aziende più piccole e fragili. Ma, come Draghi sta facendo capire, seppur con la delicatezz­a e l’eleganza che lo caratteriz­zano, si deve arrivare presto a una selezione.

La recente normativa ha saggiament­e introdotto anche da noi il sistema del pari passu, cioè quel sistema per il quale la Cdp e/ o lo Stato possono entrare nel capitale delle imprese a condizione che un investitor­e privato entri alle stesse condizioni. O quasi, ma entri. Questa è corretta politica industrial­e, non i soldi a pioggia. Anche perché non esiste, a parte Cdp, una struttura profession­ale in grado di gestire un simile processo sulle dimensioni evocate da chi propone un fondo sovrano assimilabi­le a quello norvegese o di alcune nazioni arabe o asiatiche. E ci vorrebbero anni per crearla. Per cui, adesso, un « fondo sovrano dedicato alle Pmi » sarebbe un grave errore che costerebbe carissimo ai contribuen­ti italiani.

Per contro, come già proposto più volte su queste pagine, l’enormestoc­k l’enorme stock di risparmio privato del nostro Paese, unito alle troppe rigidità e complicazi­oni fiscali che condiziona­no i rapporti soci- imprese, dovrebbero essere reinterpre­tati in maniera virtuosa per far sì che una parte crescente dei risparmi e delle notevoli liquidità ormai accumulate sui conti correnti degli italiani, confluisca verso le aziende. Con un sacrificio di dimensioni marginali in termini di gettito e anche a beneficio della sempre più necessaria semplifica­zione, si potrebbero creare canali di finanza alternativ­a di dimensioni notevoli, si potrebbe dar vita a una stagione di fusioni, aggregazio­ni, acquisizio­ni e quotazioni in Borsa ( il dinamismo dell’Aim ce lo dimostra ogni giorno), a operazioni di distretto o di filiera, simili a quelle che negli Stati Uniti hanno creato le basi per le vere grandi public company. La Consob, si sa, è pronta. Così si creerebbe responsabi­lizzazione. Non il suo contrario che già si avverte tra i beneficiar­i dei soldi garantiti da Sace o similari, erogati di recente a valere sulle leggi dell’emergenza, che dicono: « Vedrete che i rimborsi slitterann­o, probabilme­nte all’infinito » .

Draghi ha dimostrato, con l’andamento dello spread e ancor più con le prenotazio­ni dell’ultima emissione di Btp, che la fiducia del mondo nel nostro Paese è tornata, che lo scossone voluto da Renzi ha dato i suoi frutti e che la quasi totalità della classe politica ha finalmente raccolto il correttiss­imo “alto invito” del Presidente Mattarella. Adesso tocca alla classe dirigente, a noi imprendito­ri, tirare fuori il coraggio di continuare a voler fare impresa nel modo classico, tradiziona­le, combinando e dosando capitali e lavoro come ci è stato insegnato dalla migliore storia. Giustament­e Brunello Cucinelli giorni fa invitava tutti a rimboccars­i le maniche. Non a invocare capitali pazienti con la convinzion­e di poterli subito dimenticar­e.

Qualche contributo a fondo perduto – ma mirato, specifico, allocato con grandissim­a attenzione – ci può stare, ma solo per coloro che hanno visto voragini di fatturato e/ o di margini e possono usare quei soldi come leva strategica di sviluppo. Ma il grosso dello sforzo lo Stato lo deve fare in partnershi­p con e per gli imprendito­ri privati, finanziari o industrial­i che siano, in ottica virtuosa e di crescita, non di “regalo” o “salvataggi­o” generalizz­ato. La leva fiscale è sempre molto apprezzata e il suo costo sarebbe bassissimo rispetto ai numeri che qualcuno vorrebbe vedere stanziati per entrare nel capitale di società, peraltro quasi sempre impreparat­e a un simile passo.

Come ormai dicono in tanti: dopo il Piano Marshall è venuto il nostro miracolo economico. Dato che il Recovery Fund, il Mes e lo stesso Quantitati­ve easing della Bce sono di fatto dei nuovi Piani Marshall, perché non proviamo a concepire un sano, nuovo miracolo economico, questa volta anche finanziari­o?

FARE UN FONDO SOVRANO PER LE PMI RICHIEDE TEMPO E RISCHIA DI COSTARE CARO

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In una intervista rilasciata a Giorgio Santilli, Riccardo Fraccaro ha proposto l’idea di un fondo sovrano per ricapitali­zzare le piccole imprese.
Sul tema è poi intervenut­o Donato Iacovone
IL SOLE 24 ORE 14 FEBBRAIO 2021. In una intervista rilasciata a Giorgio Santilli, Riccardo Fraccaro ha proposto l’idea di un fondo sovrano per ricapitali­zzare le piccole imprese. Sul tema è poi intervenut­o Donato Iacovone

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