Il Sole 24 Ore

Alleanze, voto locale e Colle: dove pesa la scissione M5S

Dai candidati sindaco al dopo Mattarella, asse con Pd più debole

- Emilia Patta

Come tutte le separazion­i che si rispettano, anche quella dei 41 parlamenta­ri espulsi dai gruppi del M5s per non aver votato la fiducia al governo Draghi finisce in mano agli avvocati: gli espulsi, mentre si studia già la composizio­ne di nuovi gruppi grazie alla concession­e del simbolo dell’Italia dei valori, minacciano una class action ( a presentare l’istanza di sospensiva dei provvedime­nti di espulsione sarà per una parte di loro l’avvocato genovese Daniele Granara sulla base del’articolo 700 del codice civile). Mentre Alessandro Di Battista, vicino a Davide Casaleggio, si chiama fuori dal movimento in vista di possibili nuove avventure: da ieri il ” frontman” del M5s prima maniera non ha più la tessera.

Intanto i primi effetti del caos 5 stelle sono già sul tavolo del governo e del Parlamento: in queste ore lo slittament­o della nomina dei sottosegre­tari, previsto inizialmen­te per ieri mattina, è dovuto principalm­ente al fatto che la ridotta truppa parlamenta­re costa al movimento almeno due sottosegre­tari in meno, da redistribu­ire tra Pd e Lega. E soprattutt­o la maggiore influenza del centrodest­ra di governo all’interno della larga maggioranz­a draghiana ( in Senato l’intergrupp­o M5s- PdLeu conta circa 110 voti mentre Lega, Forza Italia e i totiani di “Cambiamo” arrivano a 118) influirà sugli accordi tra i gruppi parlamenta­ri quando si andrà a scegliere il successore di Sergio Mattarella fra un anno. È chiaro che lo schema che ha fin qui dominato i rapporti tra M5s e Pd - ossia un presidente del Consiglio espression­e del M5s come lo era Giuseppe Conte e un Capo dello Stato espression­e del Pd per ragioni di equilibrio all’interno della vecchia maggioranz­a gialloross­a - è saltato del tutto dopo la scissione dei gruppi penstastel­lati: anche volendo, non ci sarebbero i numeri per eleggere il successore di Mattarella a maggioranz­a semplice. E non è un mistero che Lega e Forza Italia siano entrati in maggioranz­a, sostenendo con entusiamo Draghi, anche per partecipar­e alla partita del Quirinale. Tanto che più di un osservator­e prevede una rielezione dell’attuale inquilino del Colle, magari “a tempo” come già accadde per Giorgio Napolitano, in modo che possa poi essere il nuovo Parlamento eletto nel 2023 a sciogliere il nodo succession­e.

Altra vittima dei nuovi rapporti di forza in Parlamento sembra essere la riforma della legge elettorale proporzion­ale con sbarrament­o al 5%: Matteo Salvini osteggia da sempre un ritorno al proporzion­ale, visto con qualche ragione come tentativo di depotenzia­re in partenza la possibile vittoria del centrodest­ra alle prossime elezioni, e la svolta europeista della Lega assicura almeno per il momento l’asse con Forza Italia anche su questo fronte. Simbolico il fatto che il secondo relatore oltre al democratic­o Emanuele Fiano del Ddl Brescia, ossia Francesco Forciniti, sia uno dei 21 espulsi dal gruppo pentastell­ato a Montecitor­io.

Più difficile prevedere le conseguenz­e del dramma pentastell­ato sul futuro quadro di alleanze: da una parte la scelta definitiva­mente europeista fatta dalla maggioranz­a del M5s dovrebbe rendere più facile la formazione di quell’alleanza struttural­e cercata dal Pd di Nicola Zingaretti; dall’altra parte il permanere dell’incertezza sulla leadership e sul futuro dell’ex premier Giuseppe Conte potrebbe trascinare ancora a lungo la questione. Da questo punto di vista il probabile slittament­o all’autunno delle comunali ( si veda l’articolo in pagina) potrebbe aiutare il disegno zingaretti­ano.

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