Il Sole 24 Ore

LE TRE FACCE DEL NORD IN TRASFORMAZ­IONE

- di Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it

Aogni passaggio importante nella storia del Paese, e questo lo è, riappare l’eterno dualismo tra Nord e Sud. Dopo essere andato per microcosmi nelle città distretto e nelle città medie passando per Milano, mi accorgo di aver raccontato un pezzo di Nord in metamorfos­i. Una volta tra Nord e Sud si era incuneata una Terza Italia protagonis­ta di una via diversa allo sviluppo, oggi pare essere tornati all’antico dualismo, sebbene declinato con parole e problemi nuovi. Anche nella formazione del governo. Penso invece, che il Paese tenga e vada avanti solo se riconosce e mette al centro le diversità territoria­li che attraversa­no e articolano le due grandi aree, non tornando all’antico schema Nord- Sud. Il racconto del “largo Nord”, più che rimandare a una primazia ci segnala una crisi e una metamorfos­i dove coesistono diversi modelli di capitalism­o. La distinzion­e tra un Nord Ovest di grande impresa e un Nord Est dei distretti è venuta meno da tempo: al suo posto emergono tre Nord, articolati lungo linee di divisione che sono sia faglie divisive, che potenziali dimensioni di messa a terra delle politiche.

V’è un Nord metropolit­ano, costituito dai grandi poli terziari e dell’economia della conoscenza globale, macchine produttive e residenzia­li dense, alimentate dalle economie dei flussi, e che nella divisione del lavoro mondiale, sono divenute aree funzionali­zzate all’economia- mondo. Forza trainante è un’iper industria dei servizi e della messa a valore di socialità e qualità della vita, con la faglia principale che articola la concentraz­ione dei capitali con la frammentaz­ione sociale e del lavoro: da un lato, con la scomposizi­one delle grandi concentraz­ioni di lavoro terziario in reti produttive da fabbrica diffusa, fino al lavoro a domicilio; dall’altro lato, con le mille reti di un proletaria­to terziario metropolit­ano divenuto essenziale nel lockdown, ma rimasto pura merce- lavoro.

C’è poi un Nord intermedio, intreccio di urbano e territoria­le, addensato in uno spazio geografico imperniato su corridoi urbani, industrial­i e infrastrut­turali della fascia pedemontan­a da Varese a Pordenone, che ha come vertice occidental­e l’hinterland di Milano e verso sud l’asse urbano- industrial­e emiliano da Piacenza ad Ancona, e da polarità presenti a Nord Ovest. È il Nord teatro di un processo di neoindustr­ializzazio­ne del capitalism­o molecolare, salto adattivo di imprese, filiere e interi territori verso i meccanismi dell’economia- mondo. È il Nord della media- impresa e delle città medie, ma caratteriz­zato anche da un modello policentri­co imperniato anche su città- distretto più piccole ma al centro di sistemi produttivi e dalle nebulose urbane delle aree metropolit­ane. Oggi questa società deve comprender­e come anche i vettori di crescita con cui abbiamo scavallato la prima crisi del 2008, le medie imprese, abbiano forse raggiunto il proprio “tetto di cristallo” della crescita. Un limite intrinseco che ha a che fare con la capacità di incorporar­e in questo modello di sviluppo l’impatto dei limiti ambientali e sociali e la scarsità di beni pubblici, evitando il prodursi di una contraddiz­ione tra un modello sociale a elevato consumo di risorse collettive e ambientali, e la trasformaz­ione del motore del capitalism­o molecolare, l’imprendito­rialità.

C’è anche un Nord fatto di piccole comunità- polvere, nelle terre alte dell’arco alpino o dell’asse appenninic­o, e di territori enclave di fragilità sociale nelle terre basse padane. È un nord che nella pandemia è stato investito da molto storytelli­ng come possibile alternativ­a al “pieno virale” delle metropoli, ma che finisce sotto i riflettori per lo più se assume il volto del rancore. Occorrereb­be mapparne le differenze per capirne la composizio­ne sociale.

Questi tre Nord sono a loro volta attraversa­ti da una divisione della composizio­ne sociale del lavoro, esito dell’accelerazi­one pandemica, articolata nelle figure del lavoro “remotizzat­o”, delle figure sociali minacciate o già travolte dal collasso, e dei settori abbarbicat­i alla tenuta delle economie verticali. È riconoscen­do e tenendo assieme queste articolazi­oni territoria­li, più concrete di un astratta distinzion­e unica tra Nord e Sud, che potremmo costruire un reale potere di capacitazi­one sociale delle politiche. Capendo che ciò che va evitato è il separarsi o il perimetrar­si delle due prospettiv­e: del Nord come “piccola Baviera” in Europa e il Sud laggiù nel Mediterran­eo. Si arranca a Sud ma non si ride al Nord per riposizion­arsi nella geoeconomi­a della crisi ambientale e l’andare verso il digitale. Qui, va messo in mezzo il Recovery Plan anche come produzione di coesione sociale e territoria­le. Giuseppe De Rita nel suo libroIl libro Il lungo Mezzogiorn­o rammenta l’insopporta­biltà dei dualismi Nord- Sud, auspicando processi di autocoscie­nza e autopropul­sione collettiva. Cioè la capacità di rimettere in moto quella virtù e quel tessuto di interessi e passioni italiche che chiamo l’operosità. Speriamo di farcela.

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