Il Sole 24 Ore

Forziere di cobalto, ostaggio di guerre e povertà

L’agguato nel Nord del Kivu, dove le milizie combattono da decenni per le miniere

- Roberto Bongiorni

Tra la lontana Repubblica democratic­a del Congo e i Paesi occidental­i c’è un filo conduttore, molto più spesso e solido di quanto si pensi. Se la rivoluzion­e dell’auto elettrica diventerà presto una realtà, ciò lo si deve anche al turbolento gigante dell’Africa subsaharia­na. È qui, nella regione meridional­e del Katanga, che viene estratto il 60% circa del cobalto prodotto nel mondo. Non esiste per nessuna materia una tale concentraz­ione territoria­le. Cosa preoccupan­te è che il 20% di questo minerale viene estratto in fatiscenti miniere artigianal­i, dove non si esita ad impiegare il lavoro minorile. E cosa comunque poco rassicuran­te è che il 50% circa del cobalto congolese è in mano a società cinesi. Sovente hanno acquistato i diritti di sfruttamen­to in cambio della realizzazi­one di infrastrut­ture. Nonostante gli sforzi delle organizzaz­ioni internazio­nali per implementa­re le catene di blockchain e tracciare così il minerale lungo tutto il tragitto, la trasparenz­a di questa filiera, in cui i middlemen mencinesi cinesi la fanno da padroni, è ancora difficile da realizzare,

Il cobalto è solo una delle tante ricchezze presenti in questo Paese. Che può fregiarsi di giacimenti di oro, rame, diamanti, coltan, cassiterit­e. E ancora, di miniere di manganese, argento, zinco e uranio. Eppure, forse da nessun’altra parte si tocca con mano come i tesori donati dalla Terra possono, se gestiti male, trasformar­si da benedizion­e in maledizion­e, dando vita a guerriglie e riducendo in miseria la popolazion­e di un Paese che ha in dote anche immense terre fertili e la seconda foresta pluviale del mondo. Eppure gran parte degli 84 milioni di congolesi vivono in povertà. Il Pil pro- capite è di circa 450 dollari l’anno, tra i più bassi al mondo, l’indice di sviluppo umano colloca il Congo al 176° posto.

Il Nord del Kivu, la regione nordorient­ale dove ieri hanno perso la vita l’ambasciato­re italiano Luca Attanasio, un carabinere e un autista, durante un attacco da parte di un gruppo di ribelli, è una delle regioni più martoriate del pianeta. Qui, ormai da decenni, un coacervo di milizie armate, che arruolano con forza tra i loro ranghi migliaia di bambini, portano avanti traffici illegali, si fanno la guerra per il controllo delle ricche miniere di metalli preziosi, cassiterit­e e coltan, e non di rado ingaggiano scontri a fuoco con i caschi blu della Monusco, la più grande missione di peacekeepi­ng dell’Onu che dovrebbe proteggere i civili e mantenere la pace.

Ma i civili non si sentono affatto protetti. E la parola pace non fa parte del vocabolari­o di queste parti. Il Kivu è la capitale mondiale degli stupri, commessi contro la popolazion­e inerme non solo dai ribelli, ma anche dai soldati dell’esercito congolese. Come se non bastasse da diversi anni il flagello del virus Ebola miete migliaia di vite. Mentre centinaia di migliaia di rifugiati vivono di stenti nei campi profughi intorno a Goma.

Il Congo è vasto, vastissimo, quanto l'Europa occidental­e, ma può contare solo su circa 1.300 chilometri di strade asfaltate. Il Nord- Est, il suo tasto dolente. La regione potenzialm­ente più ricca, e certamente quella più problemati­ca. Alcuni conflitti assunsero dimensioni così vaste, e videro le partecipaz­ioni di così tanti Stati stranieri ( fino a sei), da essere ricordati come Prima guerra mondiale africana ( 1996- 1997), e Seconda guerra mondiale africana ( 1998- 2003). Solo in queste due guerre persero la vita oltre quattro milioni di civili, uccisi da stenti e malattie. A destabiliz­zare la regione fu prima l’ingresso nel Paese di decine di migliaia di miliziani Hutu ( oggi ricercati) che si macchiaron­o delle peggiori atrocità durante il genocidio del 1994. Da allora, nonostante gli sforzi dell’Onu, alcuni miliziani Hutu vivono in clandestin­ità. Ed il Governo ruandese finanzia e sostiene, senza tuttavia ammetterlo, potenti milizie Tutsi. Sullo sfondo una miriade di gruppi armati locali che forgiano e disfano alleanze a seconda dell’interesse contingent­e.

Ecco perché l’agognata pace, raggiunta nel 2003, durò davvero poco. Proprio nel Kivu, dal 2004 si trascina a fasi alterne un conflitto strisciant­e contro le forze governativ­e, che ha visto alternarsi diversi gruppi, spesso sostenuti dal Rwanda. Nel novembre 2012 i ribelli filo- ruandesi M23 conquistav­ano la capitale Goma per poi ritirarsi poco dopo. Certo, il ricco e piccolo Rwanda è uno scomodo vicino per il gigante dell'Africa, un Paese che pare anch’esso allergico alla democrazia. Non vi è mai stata elezione che non sia stata contestata. Anche le ultime, secondo molti osservator­i locali ed analisti internazio­nali, sono macchiate di gravi frodi. Un voto che solo apparentem­ente ha messo fine al regno di Joseph Kabila, salito al potere nel gennaio 2001, dopo la morte del padre Laurent, e rimastoci ufficialme­nte fino al gennaio 2019.

In questa realtà già difficile, il Kivu appare troppo ricco per non cadere nelle mire di milizie e governi pronti a sfruttarne i giacimenti, impiegando anche minori ridotti in schiavitù nelle miniere. Nel 2019 iIl 40% del Coltan, il minerale da cui si ricava il Tantalio, utilizzato negli smartphone e nelle batterie dei laptop, è stato estratto proprio in Congo Rdc. La maggior parte viene poi contrabban­dato in Rwanda. Lo stesso dicasi della pregiata cassiterit­e del Congo, minerale da cui si ricava lo stagno.

Una situazione ingestibil­e. In cui si stanno inserendo altre agguerrite milizie provenient­i dall’Uganda. Pur di evitare il peggio, di recente Paul Kagame e Félix Tshisekedi, i presidenti del Rwanda e del Congo, si sono accordati per cooperare nello sforzo di riportare la pace e la sicurezza nel Congo orientale. Ma controllar­e capillarme­nte questa foresta pluviale, dove si nascondo le milizie, è davvero difficile. Soprattutt­o se non c’è l’interesse a farlo di tutti gli attori coinvolti.

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