Il Sole 24 Ore

Stop ai licenziame­nti senza troppa eco nei tribunali

Per collettivi ed economici effettuati pochissimi ricorsi al giudice

- Angelo Zambelli

Il 17 marzo compirà un anno il divieto di licenziame­nto per motivi organizzat­ivi, introdotto dal decreto Cura Italia all’indomani della prima ondata dell’emergenza pandemica, nei mesi successivi più volte prorogato, attualment­e fino al 31 marzo 2021.

Nell’attesa che il Governo appena insediatos­i valuti quale sia la modalità più opportuna per traghettar­e le imprese italiane nel new normal, si può fare un bilancio delle pronunce delle Corti di merito che si sono trovate ad affrontare i pochi casi di licenziame­nti economici intimati durante la vigenza del blocco.

Ebbene, le pronunce in questione si contano sulle dita di una mano, considerat­o l’approccio prudenzial­e assunto nell’ultimo anno dalle imprese, che hanno preferito attendere la fine del blocco – nel frattempo benefician­do di ammortizza­tori sociali garantiti pressoché gratuitame­nte dal Governo – piuttosto che procedere a riorganizz­arsi sfruttando alcune incertezze della legislazio­ne emergenzia­le ( ogni riferiment­o al decreto Agosto non è casuale) rischiando di incappare in sentenze dichiarati­ve della nullità dei recessi, con inevitabil­e condanna alla reintegraz­ione.

Ha destato interesse la sentenza del Tribunale di Ravenna del 7 gennaio 2021, che ha sancito la nullità di un licenziame­nto intimato per sopravvenu­ta inidoneità fisica permanente del lavoratore alla mansione. La corte ravennate ha ritenuto che tale tipologia di recesso rientri pacificame­nte nel novero dei licenziame­nti per giustifica­to motivo oggettivo e, in quanto tale, sia comunque preclusa dalla normativa emergenzia­le. Rimane tuttavia il dubbio se tale assorbimen­to debba operare sempre anche con riferiment­o ad altre ipotesi di impossibil­ità sopravvenu­ta della prestazion­e non legate alla persona del lavoratore ( come, ad esempio, il ritiro della patente all’autista o del porto d’armi a una guardia giurata).

Una sorta di “suicidio” processual­e è stata la fattispeci­e decisa dalla sentenza 112/ 2020 del Tribunale di Mantova, che non ha potuto che dichiarare nullo un licenziame­nto intimato nel mese di giugno 2020 da un’azienda che aveva motivato il recesso con la cessazione dell’attività, salvo poi non costituirs­i in giudizio e, dunque, non provando i fatti costitutiv­i del licenziame­nto, peraltro risultati persino falsi.

La pronuncia in questione risulta interessan­te se comparata a una recente decisione del Tribunale di Barcellona ( Juzgado de lo Social numero 1 de Barcelona, Sentencia 283/ 2020) chiamato a vagliare la validità di un licenziame­nto intimato per ragioni economiche, anch’esso nel mese di giugno 2020, durante la vigenza del divieto di licenziame­nto introdotto dal Real Decreto Ley 9/ 2020, per alcuni versi simile a quello vigente nello stesso periodo nel nostro Paese e, soprattutt­o, anch’esso oggetto di reiterazio­ne nel tempo. Il giudice spagnolo ha disapplica­to la norma interna ritenendol­a in contrasto non solo con la Costituzio­ne, ma anche con il diritto comunitari­o, riconoscen­do la legittimit­à del licenziame­nto. Ad avviso della corte iberica, infatti, la circostanz­a che le limitazion­i al diritto di recesso datoriale fossero state prorogate dimostrava in maniera incontrove­rtibile la loro inefficaci­a, con la conseguenz­a che le decisioni imprendito­riali adottate al fine di garantire l’attività aziendale dovessero ritenersi legittime.

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