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La ministra francese Parly: la Ue deve farsi carico della propria sicurezza
I progressi nell’integrazione economica sulla scia della pandemia sono evidenti: il Fondo per la Ripresa è il primo esempio europeo di debito in comune. Meno apparenti, invece, sono i passi avanti in campo militare. A tre anni dalla scelta di perseguire cooperazioni permanenti e strutturate ( le Pesco), i Ventisette possono annoverare quasi 50 progetti congiunti. Gli sviluppi si toccano con mano, anche se nel dettaglio si rivelano in chiaroscuro.
La Francia intende promuovere la cooperazione nella difesa durante il suo semestre di presidenza dell’Unione, nel gennaiogiugno 2022: « In tre anni abbiamo fatto molti progressi. È chiaro che l’Unione deve prendersi carico della propria sicurezza. Abbiamo lavorato su due filoni, rafforzando le nostre capacità e organizzando nuove operazioni » , ha detto nei giorni scorsi la ministra della Difesa francese Florence Parly, parlando qui a Bruxelles a un gruppo di giornali europei tra cui Il Sole 24 Ore.
Le cooperazioni permanenti e rafforzate - volute dall’allora Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza Federica Mogherini – hanno visto la luce nel 2017, sulla scia dell’annunciata uscita del Regno Unito dall’Unione. Da allora si sono succedute tre ondate di progetti. La prima nel marzo del 2018 composta da 17 programmi; la seconda nel novembre dello stesso anno con lo stesso numero di iniziative; infine nel novembre del 2019 sono stati lanciati altri 13 progetti. In tutto quindi 47.
L’Italia partecipa tuttora a una quindicina di programmi e ne guida nove. I progetti sono molto vari. In alcuni casi, l’impegno è rivolto alla nascita di cooperazioni militari dedicate a compiti precisi ( le emergenze e le catastrofi naturali oppure la sorveglianza marittima). In altri casi, si tratta di mettere a punto nuove armi. Un progetto, per esempio, è dedicato a un nuovo obice semovente; un altro a sistemi missilistici; un altro ancora alle telecomunicazioni.
Osserva Eric Maurice, a capo della sede bruxellese della Fondation Robert Schuman di Parigi: « Fin dall’inizio, i Ventisette hanno dovuto scegliere se implicare il maggior numero di paesi, per rafforzare il significato politico delle Pesco; oppure se puntare su un numero minore di paesi partecipanti pur di garantire qualità e velocità nei diversi programmi » . La scelta è caduta sulla prima opzione. Il risultato è che a oltre metà dei progetti partecipano fino a quattro paesi membri.
Secondo le più recenti informazioni raccolte qui a Bruxelles, 30 progetti sono ancora in fase di ideazione, 11 in fase di incubazione e cinque in fase di esecuzione. Uno solo è stato chiuso anzitempo. Qui a Bruxelles, diplomatici nazionali notano che l’impegno finanziario e militare degli Stati membri è in aumento, ma rimane troppo modesto. Dei progetti, 41 contemplano una qualche forma di partecipazione industriale, mentre 32 intendono avvalersi del co- finanziamento europeo.
In questo contesto, sono nati il Fondo europeo per la Difesa e il nuovo strumento operativo per prevenire i conflitti ( la European Peace Facility). Nel frattempo, la
Negli ultimi tre anni lanciati 47 progetti nell’ambito delle Pesco, cooperazioni permanenti e strutturate
presidenza tedesca dell’Unione, nel secondo semestre del 2020, ha avviato una lunga discussione ( Towards a Strategic Compass) con cui determinare quali saranno i futuri rischi, siano essi globali o regionali, provenienti da attori statali o non statali. Conclusioni dovrebbero giungere durante la presidenza francese.
Perseguire l’integrazione nel settore della difesa resta difficile, nonostante l’uscita di scena del Regno Unito che tanto l’aveva ostacolata. Francia, Spagna e Germania arrancano nel cercare un accordo di cooperazione per la produzione di nuovi aerei caccia e carri armati. C’è di più. Oltre alle gelosie nazionali, l’esistenza stessa della Nato rende il processo più sofferto e ambiguo: i paesi dell’Est non vogliono che le Pesco diventino il grimaldello per allentare la presenza dell’alleanza atlantica in Europa.
Col tempo, la Francia potrebbe diventare il nocciolo duro intorno al quale coagulare la cooperazione militare. Ne ha bisogno particolare sul terreno, in Mali per esempio, dove la missione Barkhane si è rivelata sanguinosa. Alla domanda se le tante iniziative europee non possano paradossalmente alimentare nuove guerre, la ministra Parly ha risposto d’emblée: « Vogliamo garantire la nostra sicurezza » . Quanto alla European Peace Facility, ha avvertito: « Se si lascia il campo libero, è ovvio che sarà occupato da altri » .