Lo scudo anti inflazione? Emergenti e subordinati bancari
Ecco come proteggere i portafogli obbligazionari dal ritorno del carovita
Rendimenti davvero in rialzo dopo oltre un decennio di vertiginosa e, salvo qualche rara pausa, continua discesa fino a violare quelle che sembravano leggi incontrovertibili della finanza? Il mondo degli investitori se lo sta chiedendo e, nel dubbio, corre a riposizionare i portafogli. A partire da quella componente obbligazionaria che rischia di essere colpita per prima dai movimenti delle ultime settimane. E nel cercare alternative a quei titoli di Stato ( i Treasury Usa, ma non solo) che da ora in avanti potrebbero presentare un conto salato, i candidati più gettonati dai gestori sembrano al momento il debito dei Paesi emergenti e quello delle istituzioni finanziarie, quest’ultimo soprattutto nella sua versione subordinata: due tipologie di investimento in grado, per ragioni diverse, di resistere ( e anzi cavalcare) un eventuale ritorno dell’inflazione di riflesso a una ripresa post- Covid più marcata delle attese.
« Le opportunità nei mercati emergenti persistono, guidate dalla ripresa della crescita globale e dai flussi di capitali legati alla domanda strutturale di asset con rendimenti più elevati » , nota Flavio Carpenzano, Senior Investment Strategist Fixed Income di AllianceBernstein, ricordando anche come « la regione sia in grado di trarre beneficio anche dai bassi tassi Usa, dalla politica estera più prevedibile della nuova amministrazione Biden e dal continuo sostegno politico e assistenza multilaterale » .
Quando poi si guarda in modo più specifico alle diverse aree del vasto universo « emergente » , ognuno ha probabilmente la propria ricetta: « Negli ultimi mesi - rileva per esempio Vittorio Fontanesi, Portfolio Manager mercati obbligazionari di AcomeA - abbiamo aumentato l’esposizione al debito in valuta locale, in particolare rublo russo e real brasiliano che, per una serie di fattori idiosincratici, sono rimasti più indietro rispetto al complesso delle divise emergenti » . Più in generale, l’idea è che Paesi come quelli appena citati ( ai quali il gestore aggiunge l’Ucraina) possano beneficiare anche di un ciclo rialzista dei tassi da parte delle locali banche centrali. Il tutto a supportare le rispettive valute, tendenzialmente già favorite da una ripresa dei prezzi delle materie prime, e garantire quindi una minore sensibilità ai movimenti al rialzo dei tassi Usa.
Un terreno completamente differente, ma evidentemente destinato a dare ancora buoni frutti nella particolare stagione dei tassi verso la quale ci stiamo avvicinando è quello dei bond bancari. « Continuiamo a mantenere un’esposizione rilevante al debito dei finanziari italiani » , conferma Fontanesi, anche se ammette di « aver recentemente alleggerito il rischio in maniera prudenziale, considerando i rischi di qualche settimana fa » , vendendo i titoli Additional Tier 1 ( At1) di UniCredit e della spagnola Bankia, che aveva sovraperformato rispetto al mercato. Ed è proprio in particolare sulle obbligazioni subordinate di alcune banche che pare concentrarsi l’interesse dei gestori perché, come sottolinea Carpenzano, « pensiamo che possano avere una buona performance in un contesto di inflazione più elevata, visto che il settore finanziario beneficia di una curva dei rendimenti più ripida e di una crescita maggiore » . Portafoglio a prova di inflazione, quindi, almeno in teoria.
I bond in rubli o real potrebbero beneficiare di un ciclo rialzista dei tassi da parte delle banche centrali
Per le banche l’inflazione è positiva: il settore si avvantaggia se la curva dei tassi è più ripida