L’università resiste al Covid: stessi corsi e più iscritti del 2019
Rapporto Luiss Intesa Sanpaolo: nella top 1.000 il 40% degli atenei italiani
Resilienza è una delle parole chiave nella lotta al Covid. Vale per il privato e per il pubblico. Lo dimostra il nostro sistema universitario che, nonostante lo storico sottofinanziamento, resiste alla pandemia globale. Da un lato, riuscendo a « erogare lo stesso numero di ore di lezione, tenere gli stessi esami e produrre lo stesso numero di laureati del 2019 » ; dall’altro, incrementando del 9% le immatricolazioni nelle università pubbliche e del 7.1% negli atenei privati. A dirlo è la ricerca “L’Italia e la sua reputazione: l’università”, realizzata da italiadecide, in collaborazione con Intesa Sanpaolo e presentata ieri con il supporto della Luiss Guido Carli di Roma.
Lo studio - curato da Domenico Asprone, Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano - parte dal posizionamento delle accademie italiane nei principali ranking universitari. Per sfatare, come ha fatto di recente un’altra ricerca della Crui ( su cui si veda Il Sole 24 Ore di Lunedì 1° febbraio), il mito che ci vede come la “Cenerentola” dell’alta formazione. Analizzando le università presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1.000 posizioni delle classifiche del Qs e del The - si legge nel report - l’Italia continua a non avere università nelle rispettive top 100, ma posiziona nelle prime 500 e ancor di più nelle prime 1.000 un numero di atenei confrontabile almeno con Francia, Germania e Cina. Anzi, normalizzando i dati dei ranking in base al totale di università presenti in ogni Stato e di studente per ente, diventiamo primi per presenze nella top 1.000.
E veniamo così alla resilienza del nostro sistema universitario, che si manifesta nella sua « elevatissima capacità di mitigare gli effetti di lunghi periodi di scarsità di risorse, di dinamiche, forse cicliche, di riduzione della reputazione, magari anche di disaffezione da parte del sistema Paese » . A un tasso di istruzione terziaria più basso degli altri aggiungiamo anche una quota inferiore di addetti. Senza peraltro migliorare le modalità di reclutamento dei professori e il ricambio generazionale. Tant’è che nel suggerire una linea di intervento per il futuro lo studio indica proprio le politiche competitive di reclutamento di docenti e studenti, insieme a una maggiore efficienza della macchina amministrativa, all’implementazione della didattica a distanza nell’offerta formativa, all’internazionalizzazione e alla collaborazione con le imprese.
Passando alla pandemia il paper dà atto agli atenei italiani di aver tenuto: oltre ad aver erogato gli stessi servizi del 2019 su esami, corsi e lauree vedono anche salire le immatricolazioni del 9% ( stando ai dati di metà novembre che sono stati poi confermati, anche se al ribasso, dalle rilevazioni di gennaio 2021, ndr). ndrr).
Nel commentare i dati il presidente onorario di italiadecide, Luciano Violante, sottolinea come la ricerca ci aiuti ad « abbattere il complesso dell’autodenigrazione, del parlar male di noi stessi » . Mentre la vicepresidente della Luiss, Paolo Severino, si sofferma sul ruolo della formazione come « chiave per il futuro, soprattutto in un periodo di cambiamenti necessitati dalla crisi pandemica e per questa ragione - aggiunge - bisogna puntare a un continuo miglioramento del sistema universitario, coltivando anche il confronto con la pubblica amministrazione e con il mondo delle imprese, per la creazione delle nuove figure professionali richieste » . Di università e lavoro parla anche Gian Maria Gros- Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo: « Entro il 2024 Intesa Sanpaolo assumerà 3.500 giovani ed è quindi necessaria la disponibilità di competenze utili alle necessità di quella che sarà la Banca dei prossimi anni, con un’attenzione anche agli equilibri di genere. Avere giovani preparati e un sistema formativo più internazionale e vicino al mondo del lavoro è fondamentale per la competitività di un Paese e delle sue imprese » .