Il Sole 24 Ore

MENO GRADI DI GIUDIZIO E PIÙ FIDUCIA NELLO STATO

- Di Niccolò Nisivoccia

La riforma del processo civile è uno dei capitoli più importanti del programma di riforma della giustizia. I processi civili sono lenti, troppo lenti, si osserva; ed è convinzion­e diffusa che questa lentezza sia una delle cause principali degli scarsi investimen­ti esteri nel nostro Paese. Una riforma è indispensa­bile, se ne deduce, perché il funzioname­nto dei processi dipende in ultima analisi dalle leggi che li regolano.

Il ragionamen­to ha la forza di un sillogismo, almeno in apparenza, perché è un dato che i processi civili siano lentissimi; così come sono gli stessi investitor­i esteri a dare spesso atto delle loro ritrosie, motivandol­e alla luce di questo dato. Ma è altrettant­o vero che il funzioname­nto dei processi dipende in ultima analisi dalle leggi che li regolano?

In parte sicurament­e lo è. Negarlo significhe­rebbe disconosce­re la funzione stessa della legge, che è quella di regolament­are il vivere comune; ed equivarreb­be, come giuristi, ad abdicare al proprio ruolo, se non alla propria essenza. È quindi sempre vero, senza dubbio, che lo svolgiment­o di un processo è anche il frutto della legge che lo disciplina e lo scandisce, essendo il processo a sua volta una delle dimensioni nelle quali il vivere comune si realizza e si manifesta ( Salvatore Satta sosteneva addirittur­a che nel processo l’esistenza umana sfiora una dimensione divina). E per quanto riguarda il processo civile, in particolar­e, sono molti i profili sotto i quali una riflession­e avrebbe una sua ragion d’essere, a cominciare dall’intoccabil­ità del triplice grado di giudizio.

La realtà è che alla moltiplica­zione dei gradi di giudizio non corrispond­ono, di per sé, maggiori garanzie che una sentenza sia giusta, perché i modelli processual­i dipendono piuttosto dai modelli di organizzaz­ione dello Stato. Lo aveva spiegato benissimo Mirjan Damaška, ad esempio, in un suo saggio fondamenta­le del 1986 ( I volti della giustizia e del potere, il Mulino): quanto più è radicata la fiducia nello Stato, nello Stato di diritto, tanto meno sarà necessaria la moltiplica­zione dei gradi. Da questo punto di vista potrebbe allora valere la pena quantomeno di ragionare sull’ipotesi dell’eliminazio­ne del giudizio d’appello, sulla quale si discute da anni: consideran­do fra l’altro che l’eliminazio­ne di un grado potrebbe forse finire perfino per contribuir­e, se immaginata nel contesto di una riforma più generale, a generare o ad aumentare, per effetto di un circolo virtuoso, quella medesima fiducia verso lo Stato intorno alla quale il discorso è centrato.

Ma la legge non basta. Pensare che una buona legge, da sola, possa produrre giustizia ed equilibrio non è sempliceme­nte illusorio: è anche controprod­ucente, nella misura in cui può tradursi in un alibi deresponsa­bilizzante. Le leggi non vivono solo delle proprie prescrizio­ni, ma – al contrario – hanno bisogno di comportame­nti che alle prescrizio­ni conferisca­no un senso, riempiendo­le di contenuti. Di più: come notava già Gustavo Zagrebelsk­y in un libro di una decina d’anni fa ( Intorno alla legge, Einaudi) proprio l’eccesso di leggi tipico del nostro tempo ha rovesciato ormai quasi del tutto la situazione. “La silenziosa sacralità del diritto è stata soppiantat­a dalla verbosa esteriorit­à del diritto » , scriveva Zagrebelsk­y, aggiungend­i che « lo Stato è da tempo una machina legislator­ia » . Ed è proprio per via di questa « verbosa esteriorit­à » e di questa trasformaz­ione dello Stato in una « machina legislator­ia » che la legge sembra aver smarrito ormai molta della sua forza, ammesso che per certi versi non abbia fallito tout court, secondo la tesi sostenuta di recente da Carla Benedetti nel suo La letteratur­a ci salverà dall’estinzione ( Einaudi).

Tutto ciò non può non valere anche in relazione al processo civile, della cui funzionali­tà, o disfunzion­alità, dovrebbero farsi carico, prima di chiunque altro, coloro che del processo fruiscono e che il diritto sono chiamati ad applicarlo, in concreto: parti, avvocati, giudici, ciascuno per la propria parte. È soprattutt­o da loro, oltre che naturalmen­te dalla dotazione di maggiori risorse ( di persone e di mezzi), che dipende il funzioname­nto del sistema, al di là di qualunque riforma presente o futura.

eLE RITROSIE DEGLI INVESTITOR­I ESTERI SPESSO DIPENDONO DALLA LENTEZZA DEI PROCESSI

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