Tariffa rifiuti, per l’industria una esenzione a metà
Molte aree dovranno continuare a pagare Sconti sul recupero
Da quest’anno la Tariffa rifiuti uscirà in automatico dalle industrie. Ma non del tutto. Perché continuerà a essere applicata, sia per la quota fissa sia per quella variabile, a mense, uffici, servizi, depositi o magazzini « che non sono funzionalmente collegati alle attività produttive di rifiuti speciali » . E la sola quota fissa, quella che nasce per pagare i costi generali del servizio di igiene urbana, continuerà a essere dovuta anche per i rifiuti urbani che le imprese decideranno di gestire al di fuori del servizio pubblico.
A tracciare i nuovi confini della Tari per le imprese è una circolare che i ministeri dell’Economia e della Transizione digitale stanno ultimando in vista della pubblicazione che dovrebbe avvenire la prossima settimana.
Il tema è delicato, come conferma il confronto che ieri ha impegnato per ore in videoconferenza i tecnici ministeriali, le imprese, l’Arera e gli enti locali, e le parti in gioco dovranno mandare le proprie osservazioni. Ma i tempi sono stretti anche perché, saltata l’ipotesi di un rinvio con il Milleproroghe, i Comuni devono approvare le tariffe con i preventivi, il cui termine è ora fissato al 31 marzo. I piani economico- finanziari che devono precedere le tariffe, quindi, andrebbero chusi in poche settimane.
Tutto nasce dal decreto legislativo 116 del 2020 che a settembre ha colto l’occasione del recepimento della direttiva europea sull’economia circolare ( la 2018/ 851) per mandare in pensione il meccanismo dell’ « assimilazione » con cui i Comuni potevano equiparare ai rifiuti « urbani » quelli « speciali » delle imprese, e quindi allargare il raggio d’azione della Tari.
L’equilibrio fra l’esigenza di evitare una doppia tassazione a carico delle imprese e quella di far tornare i conti della Tari è delicato, e soprattutto interviene su un quadro complicato.
Di qui l’architettura costruita nelle quattro pagine della circolare dai tecnici del governo, che però non risolve tutti i problemi aperti.
Un chiarimento importante riguarda prima di tutto il fatto che le industrie potranno ottenere gli sconti sulla parte di rifiuti avviati al « recupero » , e non al « riciclo » previsto dalla vecchia normativa Tari ( comma 649 della legge 147/ 2013) , che rappresenta una fase successiva e non scontata del recupero perché non tutto si può riciclare.
Nel nuovo incrocio normativo, quindi, a essere valorizzato è il Testo unico ambientale ( articolo 238, comma 10 del Dlgs 238/ 2006): il punto è che nel caotico mondo della Tari questa norma, inserita dal decreto legislativo dell’anno scorso, è finita in un articolo che disciplina la Tia 2, cioè uno sfortunato tentativo di tariffa puntuale abrogato dopo il suo scarso successo nel 2013. La circolare supera in via interpretativa l’ostacolo, aspettando un correttivo nella norma primaria, e apre la strada a un ventaglio di sconti più ampio.
Un’altra novità importante determinata dalla bozza di circolare è l’abrogazione della possibilità per i Comuni di stabilire a tavolino un quantitativo massimo di rifiuti urbbani che le imprese possono riversare sul gestore pubblico. Il passaggio cancella in automatico tutte le vecchie previsioni sul punto contenute nei regolamenti comunali sull’assimilazione. La conseguenza è che enti e gestori dovranno in fretta rimettere mano ai contratti per riorganizzare il servizio in modo tale da poter gestire anche una massa di rifiuti maggiore.
Una corsa contro il tempo. Ma non è l’unica. Perché il nodo più intricato riguarda proprio il calendario.
Secondo la bozza di circolare, l’impresa deve comunicare all’ente gestore ( Ato o Comune) la scelta se utilizzare o meno il servizio pubblico entro il 30 giugno dell’anno precedente. Termine ottimo per consentire ai gestori di costruire in tempo il quadro finanziario, e quindi le tariffe, ma evidentemente inapplicabile per quest’anno. Anche da qui è arrivata la richiesta delle amministrazioni locali per un rinvio di un anno della nuova disciplina, respinta però dal governo per il timore di inciampare in una procedura d’infrazione.
Ma la clessidra scorre in fretta anche per Arera, l’autorità che dall’anno scorso detta le regole per la Tari. Il metodo tariffario costruito dall’Authority è basato sulla struttura dei costi dei due anni precedenti. Ora, di conseguenza, andrebbe adeguato in corsa alla nuova platea dei soggetti passivi, per tener conto dell’esclusione dei vecchi rifiuti « assimilati » e ricostruire su queste nuove basi il calcolo dei costi da distribuire fra gli utenti.
Un caos, che non è certo una novità nella travagliata storia della Tari. Ma che rischia di danneggiare contribuenti e servizio, come dimostrano appunto i tanti precedenti della tariffa rifiuti.