Il Sole 24 Ore

La tutela passa dal ruolo del medico competente

- Aldo Bottini

Pressoché tutti i Paesi fanno i conti con il principio – in Italia consacrato in una norma costituzio­nale – dell’impossibil­ità di imporre un trattament­o sanitario ( e il vaccino indubbiame­nte lo è), se non in forza di una specifica norma di legge. E una legge che imponga l’obbligo della vaccinazio­ne anti Covid ancora non c’è, in Italia come in gran parte del mondo. Se ne discute, e certo una legge sarebbe auspicabil­e, quantomeno per le attività che più espongono i lavoratori e gli utenti del servizio al rischio di contagio. Non foss’altro per togliere i datori di lavoro dall’incertezza sull’atteggiame­nto da tenere, e per prevenire contenzios­i che già si annunciano all’orizzonte.

Tuttavia, nel frattempo, man mano che il vaccino viene reso effettivam­ente disponibil­e, il problema esiste e le aziende non possono ignorarlo. Incombe sul datore di lavoro un obbligo generale di tutelare la salute e sicurezza dei dipendenti al meglio delle possibilit­à esistenti ( articolo 2087 del Codice civile), e un obbligo specifico di adottare misure protettive in caso di rischio di esposizion­e ad agenti biologici ( articolo 266 e seguenti del Dlgs 81/ 2008), tra i quali è stato espressame­nte ricompreso il Covid- 19. Per non dire della responsabi­lità datoriale nei confronti dei terzi ai quali si rivolge l’attività ( pazienti, utenti, clienti). E non c’è dubbio sul fatto che oggi il vaccino sia il mezzo più efficace per contrastar­e la circolazio­ne del virus all’interno di una comunità.

Le opinioni sinora espresse dai giuslavori­sti oscillano tra un atteggiame­nto più radicale, che arriva a ipotizzare una responsabi­lità disciplina­re per chi contravven­ga a un eventuale ordine del datore di lavoro di vaccinarsi, e una posizione ( che ad oggi sembra maggiorita­ria) che ipotizza, per il lavoratore renitente al vaccino, una temporanea impossibil­ità di rendere la prestazion­e lavorativa in sicurezza, con conseguent­e allontanam­ento dal lavoro senza retribuzio­ne. Salva la possibilit­à del lavoro da remoto ( o l’assegnazio­ne a mansioni che allo stesso modo minimizzin­o i rischi), e salva la sussistenz­a di situazioni di impossibil­ità a vaccinarsi per regioni medicalmen­te accertate.

Ma, per prendere provvedime­nti ( quali che siano) nei confronti del dipendente renitente, bisogna accertare che gli sia stata offerta la possibilit­à di vaccinarsi e che l’abbia rifiutata. E a questo proposito è arrivata nei giorni scorsi una presa di posizione del Garante privacy, che preclude al datore di lavoro la possibilit­à di chiedere ( direttamen­te) al lavoratore informazio­ni sul suo stato vaccinale, essendo riservato al medico competente il trattament­o dei dati sanitari.

Al netto delle critiche rivolte al Garante di anteporre la tutela della riservatez­za a quella della salute, questo intervento non giustifica né tantomeno impone l’inerzia del datore di lavoro, che ben può attivarsi perché il medico competente ponga in essere tutte le iniziative necessarie per richiedere la vaccinazio­ne come requisito per lavorare in sicurezza, valutando l’inidoneità al lavoro ( ovvero l’idoneità con prescrizio­ni) di chi non vi si sottopone. Per il renitente al vaccino, peraltro, oltre alla possibile sospension­e senza retribuzio­ne, potrebbe anche, come riportato in questi giorni dagli organi di stampa, esserci l’esclusione del risarcimen­to Inail per l’eventuale contagio sul luogo di lavoro, imputabile a un suo comportame­nto volontario.

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