Il Sole 24 Ore

Il ritorno della Lega Anseatica: no al protezioni­smo in Europa

La Svezia guida i Paesi orientati all’export e decisi a difendere il libero scambio Nel mirino la Francia e le chiusure dei mercati accentuate dalla pandemia

- Michele Pignatelli

Nell’Unione europea, orfana del Regno Unito e messa a dura prova prima dai dazi trumpiani dell’” America First” e ora dal coronaviru­s, più che uno spettro è tornata ad aggirarsi una vecchia tentazione: quella del protezioni­smo. E, per combatterl­a, l’anima liberista del Vecchio Continente, quel Nord Europa che già fu il fulcro della Lega Anseatica medioevo- rinascimen­tale, torna a rispolvera­re antiche alleanze.

Capofila del gruppo è la Svezia, che già il 18 febbraio del 2020, su iniziativa della ministra del Commercio Anna Hallberg, invitò a Stoccolma i ministri di altri 5 Paesi di orientamen­to simile: Olanda, Danimarca, Finlandia, Repubblica Ceca e Germania, per far fronte comune contro le nuove tendenze e colmare il vuoto lasciato da un campione del liberismo come la Gran Bretagna. Era la vigilia dell’esplosione della pandemia di Covid- 19, che ha inevitabil­mente accentuato le tendenze protezioni­stiche. Così, a un anno di distanza, la ministra Hallberg, in un’intervista a Bloomberg, è tornata a far sentire la voce di questi Paesi - ai quali nel frattempo si sono aggiunti Irlanda ed Estonia – decisi a spingere per « un commercio aperto, libero ed equo » contro quanti « cercano di proteggere industrie che non fanno i compiti » .

A essere preoccupat­o è prima di tutto il mondo del business svedese. « Durante la pandemia – conferma Lena Sellgren, chief economist di Business Sweden, l’agenzia per la promozione del commercio e gli investimen­ti – abbiamo visto più protezioni­smo: restrizion­i all’export, aiuti di Stato. E penso che ci sia il rischio che alcune di queste misure, o quantomeno un atteggiame­nto in qualche misura protezioni­stico, rimangano anche dopo, tanto più che, già prima del virus, si assisteva a una maggiore regionaliz­zazione della produzione e del commercio in Europa, Nord America e Asia, con le imprese più grandi che preferisco­no stare più vicine ai mercati » di riferiment­o.

Per Stoccolma però la chiusura dei mercati è una sorta di anatema. « Le economie come quella svedese o quelle nordiche – continua Sellgren – dipendono dall’accesso ai mercati più grandi, perché quelli interni sono troppo piccoli. È perciò importante avere un commercio più aperto e libero possibile. Tanto più che abbiamo molte piccole e medie imprese, a cui le barriere tariffarie e non tariffarie costano molto e per le quali, d’altra parte, produrre in regioni diverse avrebbe costi elevati » .

La comune vocazione all’export è del resto il primo motore dell’alleanza liberista. Basta guardare il peso delle esportazio­ni sul Pil degli 8 Paesi mobilitati contro il protezioni­smo ( si veda il grafico in pagina): dal 40,2% della Finlandia al 126,8% dell’Irlanda ( dato, quest’ultimo, inevitabil­mente influenzat­o dalla presenza massiccia di multinazio­nali), passando per il 47% svedese e l’ 83,3% olandese. In ogni caso percentual­i superiori al dato mondiale ( 30,5%).

Jan Björklund, ambasciato­re svedese in Italia, riconosce il ruolo di promotrice della Svezia, ma invita a non accentuare troppo la contrappos­izione tra blocchi: « L’idea centrale dell’Unione europea è discutere insieme invece di combattere su campi di battaglia, ma questo non significa che siamo sempre d’accordo: abbiamo sempliceme­nte trovato dei meccanismi per gestire posizioni diverse. Naturalmen­te, quando bisogna votare, si devono trovare delle maggioranz­e e ovviamente noi ci confrontia­mo con i Paesi che hanno la nostra stessa visione. La Svezia è una delle nazioni guida che sostengono globalizza­zione e libero scambio ( grazie ai quali in Europa abbiamo i più alti standard di vita mai raggiunti), ma non siamo soli; d’altra parte, nessun Paese sostiene apertament­e che il protezioni­smo è una cosa buona, anche se alla fine alcune delle misure che adotta vanno in quella direzione » .

In quest’Europa a geometrie variabili, che forma alleanze finalizzat­e a specifici obiettivi ( come già era accaduto per la cosiddetta Nuova lega anseatica tre anni fa, quando un gruppo di Paesi in larga parte coincident­i con gli otto di oggi si oppose a una riforma dell’Eurozona troppo ambiziosa), il convitato di pietra è ancora una volta la Francia di Emmanuel Macron. Una Francia che, complice anche l’emergenza pandemica, ha accentuato la sua tradiziona­le spinta alla difesa di campioni nazionali ( o europei) e a politiche più dirigiste, anche in nome dell’” autonomia strategica” dell’Europa. Ultimo esempio lo stop al takeover di Carrefour da parte del gruppo canadese Couche- Tard, in virtù dei nuovi poteri di blocco assunti dallo Stato francese in materia di acquisizio­ni ritenute strategich­e, tra cui appunto la filiera agro- alimentare.

Contrappes­o fondamenta­le è invece la Germania, la cui presenza tra le file dei liberisti può giocare un ruolo decisivo nel momento in cui, dopo aver aggiornato la sua politica commercial­e, la Ue si appresta ad aggiornare anche la strategia industrial­e.

« Quando Germania e Francia hanno la stessa visione su una questione – nota ancora l’ambasciato­re – si va spesso in quella direzione. Ora che si si parla di ” autonomia strategica” – una nuova espression­e che è una sorta di scusa per più protezioni­smo – le posizioni sono diverse; ma sono ottimista: troveremo un compromess­o. Tuttavia – conclude – non è così chiaro che ci sono otto Paesi in favore del libero scambio e gli altri contrari: nella discussion­e ci sono molte sfumature » .

Ma arroccando­si nella difesa del libero mercato l’Europa non corre il rischio di soccombere al protezioni­smo altrui o a una concorrenz­a sleale, come quella cinese? Per Jan Björklund « la difesa della concorrenz­a leale è da sempre la motivazion­e per regolament­are il libero scambio. Il commercio dovrebbe essere equo e sostenibil­e, ma – salvo eccezioni limitate stabilite da organismi sovranazio­nali, come l’Onu, o settori con importanti risvolti di sicurezza, come le telecomuni­cazioni – dovremmo essere molto cauti nel bloccarlo » . Lena Sellgren riconosce la necessità di trovare un difficile equilibrio tra le due esigenze, ma invita piuttosto l’Europa a « rafforzare la propria competitiv­ità: istruzione e competenze, infrastrut­ture, progresso nella digitalizz­azione, transizion­e verde. Questo – conclude – è il problema, non solo per la Svezia ma per tutta l’Europa » .

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Il Porto di Rotterdam, maggiore scalo europeo, una sorta di simbolo dell’apertura al commercio
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La porta d’Europa. Il Porto di Rotterdam, maggiore scalo europeo, una sorta di simbolo dell’apertura al commercio ADOBESTOCK
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