Summit Ue, l’Italia torna mediatore dei rapporti transatlantici
Oggi e domani al vertice europeo sarà la prima volta di Mario Draghi premier e la prima dell’Italia tornata protagonista politica dopo decenni di latitanza. Da presidente della Bce Draghi è stato per sette anni un assiduo frequentatore dei consessi a 27: conosce forse meglio di chiunque altro punti di forza e debolezze di interlocutori, che ora ritrova colleghi, e maneggia con disinvoltura le regole del gioco.
Per questo, rifuggendo da ogni ambiguità, ha messo subito le carte in tavola pronunciando in parlamento la netta scelta di campo della “sua” Italia: europeista e transatlantica. Collocazione tradizionale, certo. Ma in un’Unione e in un mondo in subbuglio alla ricerca di nuovi equilibri politici e geo- strategici, l’uso stesso di quei due aggettivi oggi equivale a infilare la mano in un autentico vespaio.
In realtà di vespai il nostro se ne intende: l’estenuante confronto a Francoforte tra falchi e colombe della politica monetaria ne hanno fatto un accanito mediatore di successo. Abilità di governare i conflitti e ottimi rapporti personali con il cancelliere Angela Merkel, il presidente francese Emmanuel Macron e il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, potrebbero essere gli strumenti con cui restituire all’Italia visibilità e peso internazionali perduti e all’Europa l’emancipazione politica necessaria a garantirle irreversibilità dell’euro e stabilità nei rapporti con gli Stati Uniti.
Dopo l’operazione Recovery da 750 miliardi e le prime emissioni di debito comune per finanziarli, la strada è tracciata, il credo europeista è ormai un culto di più facile osservanza. Ma la storica svolta è tutta da verificare: seguiranno davvero le riforme necessarie per poter incassare i fondi Ue? E riuscirà l’Unione dei 27 a partorire le armonie interne indispensabili per autoriformarsi a sua volta costruendosi un nuovo futuro fatto di unione politica, economica ed eurodifesa? Ci vorranno anni per conoscere le risposte.
La sfida immediata da affrontare però è transatlantica e molto più complicata da gestire perché, quando si esternalizzano, le divisioni intraeuropee si esasperano in grovigli ancora più paralizzanti.
L’Europa ha atteso con ansia la vittoria di Biden, ritenuta l’agognato sinonimo di riconciliazione euro- americana. E tale si sta rivelando nelle intenzioni del presidente Usa, del suo “America is back”. Peccato che per parte degli europei, però quelli che più contano, l’abbraccio è esagerato. Pretende troppo quando coniuga il pieno ritorno a partnership Nato e multilateralismo, impegno sul clima e lotta alla pandemia, con una nuova grande alleanza tra democrazie per vincere il duello geo- strategico e tecnologico con le grandi autocrazie, Cina e Russia in testa.
L’idea dello scontro tra civiltà non piace agli europei, allergici alla vecchia logica dello scontro tra i blocchi: un pezzo di dopoguerra da dimenticare. Domani al vertice europeo ci sarà anche Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato, come lunedì alla riunione dei ministri degli Esteri Ue ha partecipato per due ore il collega Usa, Antony Blinken. Sinergie e opere di persuasione non facili. Il volontarismo di Biden non si concilia con la scelta dell’equidistanza tra Stati Uniti e Cina che cavalcano Merkel e industria tedesca: Pechino è ormai il primo partner commerciale di Germania ed Europa. Per questo, al contrario della Casa Bianca, entrambe preferiscono dimenticare diritti umani, repressione a Hong Kong, minacce a Taiwan. Vorrebbero il ritorno alla vecchia normalità atlantica ma niente di più. La Francia di Macron, che ritiene invece la Nato obsoleta, propugna l’alleanza con gli Stati Uniti, riconosce nella Cina un partner ma anche un rivale sistemico, insegue sovranità europea e autonomia strategica per creare con gli Stati Uniti un rapporto tra pari ma non trova alleati nell’Ue.
Senza unità europea, erosa oltre che dai diverbi francotedeschi, dalle incomprensioni Est- Ovest e divisioni Nord- Sud, rischia di non vedere la luce il rinascimento transatlantico su cui ruota la strategia Biden. Draghi potrebbe diventare il pontiere tra le due metà dell’Occidente afflitte dal virus dell’incomunicabilità. L’impresa appare persino più azzardata del salvataggio dell’euro. Nel mondo globale la condivisione è il sale della sovranità, l’Europa stenta a capirlo. Riuscirà Supermario a convincerla?