Tassi Usa e inflazione, ritorna l’alta volatilità
L’offerta di Treasury, per finanziare le politiche fiscali, può fare scendere i prezzi e aumentare i rendimenti più velocemente dell’inflazione. Un problema per le aziende quotate
Febbraio si chiude con un’ondata di vendite che, escludendo il vuoto d’aria di un mese fa, rappresenta l’episodio di volatilità più pronunciato dopo lo scoppio della pandemia e il successivo ritracciamento di settembre- ottobre. Le cause? La corsa dei tassi Usa che ha superato quella delle attese dell’inflazione, facendo balzare i tassi reali. Piazza Affari ha ceduto lo 0,93% e chiuso la seconda settimana consecutiva al ribasso. Rimbalzo del Nasdaq.
Da un lato, nell’ultima ottava, le aspettative sull’inflazione che scendono; dall’altro le Borse che fanno altrettanto. Un paradosso!
Certo: lo scenario della ripresa dei prezzi al consumo è, nel medio periodo, quello primario. Basta in tal senso guardare al derivato, molto seguito dalla banche centrali, che indica l’inflazione prevista tra cinque anni a fine del quinquennio successivo. Secondo i calcoli della Fed di St. Louis questa è passata, negli Stati Uniti, dall’area 1,5% di un anno fa al massimo, a inizio febbraio scorso, del 2,14%.
Tuttavia lo stesso indicatore ieri segnalava un valore dell’ 1,94%, senza che i listini ne abbiano tratto il giusto beneficio. Un bel paradosso, per l’appunto.
Il falso paradosso
A ben guardare, però, la contraddizione è apparente. L’incremento del rendimento dei titoli di Stato, che è un fattore scatenante per indirizzare gli investimenti dall’azionario verso il reddito fisso, non è solamente legato alle attese sull’inflazione. « Nel caso dei Treasury Usa- spiega Tullio Grilli, capo brokerage elettronico di Banca Akros - è oggi molto importante la stessa legge della domanda e dell’offerta » . L’attesa delle grandi emissioni, da parte del Tesoro statunitense, per finanziarie i piani di politica fiscale ( circa 1.900 miliardi di dollari) e le infrastrutture « ha un effetto deflattivo sui prezzi dei titoli stessi » . Il che spinge ulteriormente lo yield dei governativi. « Ebbene - aggiunge Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim - l’incremento dei rendimenti ad una velocità maggiore rispetto all’inflazione prevista fa aumentare i tassi reali. Una condizione che i mercati temono » . Gli investitori, infatti, sanno che le società quotate « in un simile contesto hanno un maggiore costo effettivo di finanziamento che crea loro delle pressioni sui margini » . Il possibile effetto finale? La diminuzione dei flussi d’investimento sull’azionario. Al di là della specifica questione dei margini aziendali, la dinamica dei tassi ha però ulteriori conseguenze.
La dinamica dei settori
« Bisogna ricordare - sottolinea Giacomo Calef, Country manager Italy presso Notz Stucki - che, soprattutto da quando sono arrivati i primi vaccini, gli investitori si sono indirizzati verso settori diversi dall’hi- tech » . Comparti maggiormente legati alle dinamiche del Pil che possono trarre vantaggio dalla ripresa economica. Sennonché la rotazione settoriale è selettiva. Cioè: non tutti se ne avvantaggiano. A Wall Street, ad esempio, è balzato il settore dell’energy (+ 26% da inizio anno), in scia anche al rialzo dei prezzi delle commodity. In Europa invece è cresciuto, tra gli altri, quello delle risorse di base (+ 14,7%). « Ciò detto - riprende Calef - altri sono rimasti indietro. Basta ricordare le telecom, i prodotti di consumo o quelli sanitari di base » . In generale questi comparti sono contraddistinti, da un lato, da bassi tassi di crescita; e, dall’altro, da un elevato indebitamento. « Nel momento in cui i tassi riprendono quota le aziende in questione, senza la contestuale reale rimonta economica, si trovano in difficoltà a pagare gli oneri finanziari » . Di qui il loro minore appeal presso gli investitori.
Già, gli investitori. Questi in realtà marcano da vicino anche le banche centrali. Il nodo è il passaggio da un’economia chiusa ( in lockdown, seppure a macchia di leopardo) ad un mondo nuovamente aperto. Una modalità “freddo”-“caldo” che, se non bene gestita, può scottare i listini. La Fed, a oggi, ha confermato l’acquisto mensile di 120 miliardi di asset di cui 80 in governativi e i restanti 40 in titoli garantiti da mutui.
Basterà? « L’ arrivo di nuove emissioni legato ai piani fiscali- riprende Grilli - può per l’appunto creare un eccesso d’offerta, non corrisposto da adeguata domanda » soprattutto nel momento in cui l’istituto centrale non interviene. Anche perché i Treasury Usa hanno la concorrenza delle emissioni previste in Europa, tra il 2021 e il 2027, per finanziare i 750 miliardi del Recovery Fund. Non solo. Nel momento in cui, in scia alla crescita del Pil, ci fosse la fiammata inflazionistica ( cosa di cui, va detto, molti non sono così convinti) i tassi potrebbero salire ulteriormente all’insù. « Insomma la Fed, ma anche la Bce - afferma Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca - dovrebbero fin’anche arrivare a gestire maggiormente la curva dei rendimenti » . Proprio ieri la differenza tra lo yield del Titolo Usa a 10 anni e quello a 2 è arrivata a 131 punti base. Vale a dire: Il livello massimo dal 2016.
I segnali di “maneggiare con cautela”, quindi, ci sono tutti. Non sarà un caso se Isabel Schnabel, del direttorio delle Bce, abbia sottolineato che se l’aumento dei rendimenti dovesse minacciare la crescita il sostegno all’economia andrà aumentato.
Un aumento dei prezzi assai contenuto ha caratterizzato lo sviluppo economico dal 1980 a oggi