Il Sole 24 Ore

L’INFLAZIONE E L’OMBRA DEMOGRAFIC­A

- di Gianni Toniolo

Sta tornando l’inflazione? Ci sono segnali che stanno cambiando le previsioni sull’andamento dei prezzi. Arrivano, per esempio, dal rialzo dei tassi sui titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Si tratta di un bip momentaneo, destinato a esaurirsi, o della fine di un lungo periodo di stabilità dei prezzi che ha resistito perfino ai tentativi delle banche centrali di portarli a una crescita un po’ più sostenuta? Ci aspetta quello che Larry Summers, uno tra i primi a parlarne, chiama « cambiament­o di regime » ? Se lo chiedono in molti: operatori sui mercati, ministri del tesoro, banchieri centrali ed economisti.

Al momento, governi e banche centrali confermano che manterrann­o le attuali politiche eccezional­mente espansive per favorire l’uscita da una crisi tragica sul piano sanitario e diversa dalle altre su quello economico. È certamente la cosa giusta da fare, anche se portasse con sé un po’ d’inflazione. Essa va però gestita con crescente attenzione per evitare che si radichino attese di continui aumenti dei prezzi, che sarebbero poi difficili e penose da sradicare, come sappiamo dalla storia degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Una fase delicata, simile a quella di un dopoguerra, potrebbe seguire all’abolizione delle restrizion­i imposte dalla pandemia, qualora i forti risparmi accumulati in quasi due anni e bisogni a lungo contenuti creassero una domanda che il sistema produttivo non fosse immediatam­ente capace di soddisfare, spingendo i prezzi verso l’alto. Non è detto che ciò accada sia perché l’incertezza, causa principale della crescita dei risparmi, potrebbe diminuire solo lentamente sia perché la capacità produttiva manifattur­iera non è stata molto intaccata e quella dei servizi alle persone può essere accresciut­a in tempi brevi. Sarà comunque un passaggio delicato, anche da questo punto di vista.

Oltre il breve e medio termine, resta la domanda, non meramente accademica, se il mondo si stia avviando verso un “paradigma” della dinamica dei prezzi diverso da quello degli ultimi 30- 40 anni. Ritiene sia così Charles Goodhart, uno dei massimi studiosi di politiche monetarie ( « The Great Demographi­c Reversal » , Plagrave 2020, scritto con Manoj Pradhan). Escludendo i periodi bellici, un aumento dei prezzi assai contenuto ha caratteriz­zato lo sviluppo economico moderno dall’inizio dell’Ottocento alla metà del Novecento e dal 1980 a oggi. Il trentennio postbellic­o di maggiore inflazione è stato un’eccezione e lo è stato per un’ottima ragione: l'impegno a combattere la disoccupaz­ione e a creare lo stato sociale, espandendo la spesa pubblica in disavanzo. La bassa inflazione dell’ultimo trentennio è dovuta solo in parte alla politica monetaria che anzi, soprattutt­o dal 2008, è stata eccezional­mente espansiva, anche con tassi di interesse nominali negativi, mai prima visti nella storia monetaria del mondo. I prezzi sono stati contenuti soprattutt­o da fattori struttural­i dal lato dell’offerta, tra i quali, sottolinea Goodhart, l’enorme divergenza salariale tra Cina da un lato e le economie nord atlantiche dall’altro che ha consentito alla prima di esportare manufatti a bassissimo costo. È però un fenomeno storicamen­te eccezional­e che si sta esaurendo sotto i nostri occhi: nel 2000 i salari statuniten­si erano 34 volte maggiori di quelli cinesi, oggi sono solo 5 volte maggiori e il rapporto si sta velocement­e riducendo. Nel più lungo periodo, sostiene Goodhart, le tendenze inflazioni­stiche saranno alimentate soprattutt­o dalla demografia. Un’elevata proporzion­e di occupati sulla popolazion­e aumenta l’offerta di beni contenendo l’aumento dei prezzi, al contrario la popolazion­e inattiva, soprattutt­o anziana, fa crescere la domanda spingendo i prezzi verso l’alto. L’equilibrio tra queste due forze contrastan­ti si sta rapidament­e spostando verso la seconda, con la conseguent­e spinta all’aumento della spesa pubblica in disavanzo e quindi del debito in rapporto al PIL. Negli Stati Uniti, si prevede che esso raggiunga il 150 per cento prima del 2050, con disavanzi finanziati soprattutt­o dalla banca centrale, creando moneta e pertanto inflazione. Cause struttural­i, non facilmente modificabi­li come i trend demografic­i, condurrebb­ero dunque inevitabil­mente la nostra epoca a divenire, almeno per quanto riguarda l’aumento dei prezzi, ben diversa da quella conosciuta dalla storia economica dal 1800 a oggi, con l’eccezione di un solo trentennio,

Possiamo facilmente pensare ad antidoti per scongiurar­e questo destino. Si tratta, in sostanza, di mantenere l’equilibrio tra l’offerta e la domanda di beni e servizi. La soluzione più ovvia e politicame­nte accettabil­e sarebbe l’aumento della produttivi­tà del lavoro, ma i trend attuali non la rendono al momento molto probabile. Gli altri antidoti all’inflazione struttural­e si scontrano con difficoltà sociali e politiche: l’allungamen­to della vita lavorativa ben oltre la soglia attuale dei 65 anni, una costante crescita della pressione fiscale, un robusto flusso di immigrazio­ne.

Siamo dunque inesorabil­mente destinati a un futuro d’inflazione? Non è né deve essere così. I progressi della medicina possono dare agli anziani una vita migliore allungando quella lavorativa, soprattutt­o se si trovasse il modo di curare la demenza senile, diminuendo la spesa pubblica per il mantenimen­to dei molti che ne soffrono. È probabile che la diffusione dei robot riduca il costo di molti servizi. La diffidenza verso l’immigrazio­ne non sarà eterna né il consumismo crescerà sempre ai ritmi attuali. Si tratta di cambiament­i che possono essere favoriti da politiche lungimiran­ti. È importante però che il messaggio sia colto: l’inflazione, con le sue odiose conseguenz­e sociali, potrebbe essere uno tra i tanti problemi, tra loro interconne­ssi ( è molto probabile che la transizion­e verde abbia effetti inflattivi), che le nostre società dovranno risolvere nel non lontano futuro.

La medicina allunga la vita lavorativa, i robot riducono i costi, la paura dell’immigrazio­ne calerà

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