L’INFLAZIONE E L’OMBRA DEMOGRAFICA
Sta tornando l’inflazione? Ci sono segnali che stanno cambiando le previsioni sull’andamento dei prezzi. Arrivano, per esempio, dal rialzo dei tassi sui titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Si tratta di un bip momentaneo, destinato a esaurirsi, o della fine di un lungo periodo di stabilità dei prezzi che ha resistito perfino ai tentativi delle banche centrali di portarli a una crescita un po’ più sostenuta? Ci aspetta quello che Larry Summers, uno tra i primi a parlarne, chiama « cambiamento di regime » ? Se lo chiedono in molti: operatori sui mercati, ministri del tesoro, banchieri centrali ed economisti.
Al momento, governi e banche centrali confermano che manterranno le attuali politiche eccezionalmente espansive per favorire l’uscita da una crisi tragica sul piano sanitario e diversa dalle altre su quello economico. È certamente la cosa giusta da fare, anche se portasse con sé un po’ d’inflazione. Essa va però gestita con crescente attenzione per evitare che si radichino attese di continui aumenti dei prezzi, che sarebbero poi difficili e penose da sradicare, come sappiamo dalla storia degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Una fase delicata, simile a quella di un dopoguerra, potrebbe seguire all’abolizione delle restrizioni imposte dalla pandemia, qualora i forti risparmi accumulati in quasi due anni e bisogni a lungo contenuti creassero una domanda che il sistema produttivo non fosse immediatamente capace di soddisfare, spingendo i prezzi verso l’alto. Non è detto che ciò accada sia perché l’incertezza, causa principale della crescita dei risparmi, potrebbe diminuire solo lentamente sia perché la capacità produttiva manifatturiera non è stata molto intaccata e quella dei servizi alle persone può essere accresciuta in tempi brevi. Sarà comunque un passaggio delicato, anche da questo punto di vista.
Oltre il breve e medio termine, resta la domanda, non meramente accademica, se il mondo si stia avviando verso un “paradigma” della dinamica dei prezzi diverso da quello degli ultimi 30- 40 anni. Ritiene sia così Charles Goodhart, uno dei massimi studiosi di politiche monetarie ( « The Great Demographic Reversal » , Plagrave 2020, scritto con Manoj Pradhan). Escludendo i periodi bellici, un aumento dei prezzi assai contenuto ha caratterizzato lo sviluppo economico moderno dall’inizio dell’Ottocento alla metà del Novecento e dal 1980 a oggi. Il trentennio postbellico di maggiore inflazione è stato un’eccezione e lo è stato per un’ottima ragione: l'impegno a combattere la disoccupazione e a creare lo stato sociale, espandendo la spesa pubblica in disavanzo. La bassa inflazione dell’ultimo trentennio è dovuta solo in parte alla politica monetaria che anzi, soprattutto dal 2008, è stata eccezionalmente espansiva, anche con tassi di interesse nominali negativi, mai prima visti nella storia monetaria del mondo. I prezzi sono stati contenuti soprattutto da fattori strutturali dal lato dell’offerta, tra i quali, sottolinea Goodhart, l’enorme divergenza salariale tra Cina da un lato e le economie nord atlantiche dall’altro che ha consentito alla prima di esportare manufatti a bassissimo costo. È però un fenomeno storicamente eccezionale che si sta esaurendo sotto i nostri occhi: nel 2000 i salari statunitensi erano 34 volte maggiori di quelli cinesi, oggi sono solo 5 volte maggiori e il rapporto si sta velocemente riducendo. Nel più lungo periodo, sostiene Goodhart, le tendenze inflazionistiche saranno alimentate soprattutto dalla demografia. Un’elevata proporzione di occupati sulla popolazione aumenta l’offerta di beni contenendo l’aumento dei prezzi, al contrario la popolazione inattiva, soprattutto anziana, fa crescere la domanda spingendo i prezzi verso l’alto. L’equilibrio tra queste due forze contrastanti si sta rapidamente spostando verso la seconda, con la conseguente spinta all’aumento della spesa pubblica in disavanzo e quindi del debito in rapporto al PIL. Negli Stati Uniti, si prevede che esso raggiunga il 150 per cento prima del 2050, con disavanzi finanziati soprattutto dalla banca centrale, creando moneta e pertanto inflazione. Cause strutturali, non facilmente modificabili come i trend demografici, condurrebbero dunque inevitabilmente la nostra epoca a divenire, almeno per quanto riguarda l’aumento dei prezzi, ben diversa da quella conosciuta dalla storia economica dal 1800 a oggi, con l’eccezione di un solo trentennio,
Possiamo facilmente pensare ad antidoti per scongiurare questo destino. Si tratta, in sostanza, di mantenere l’equilibrio tra l’offerta e la domanda di beni e servizi. La soluzione più ovvia e politicamente accettabile sarebbe l’aumento della produttività del lavoro, ma i trend attuali non la rendono al momento molto probabile. Gli altri antidoti all’inflazione strutturale si scontrano con difficoltà sociali e politiche: l’allungamento della vita lavorativa ben oltre la soglia attuale dei 65 anni, una costante crescita della pressione fiscale, un robusto flusso di immigrazione.
Siamo dunque inesorabilmente destinati a un futuro d’inflazione? Non è né deve essere così. I progressi della medicina possono dare agli anziani una vita migliore allungando quella lavorativa, soprattutto se si trovasse il modo di curare la demenza senile, diminuendo la spesa pubblica per il mantenimento dei molti che ne soffrono. È probabile che la diffusione dei robot riduca il costo di molti servizi. La diffidenza verso l’immigrazione non sarà eterna né il consumismo crescerà sempre ai ritmi attuali. Si tratta di cambiamenti che possono essere favoriti da politiche lungimiranti. È importante però che il messaggio sia colto: l’inflazione, con le sue odiose conseguenze sociali, potrebbe essere uno tra i tanti problemi, tra loro interconnessi ( è molto probabile che la transizione verde abbia effetti inflattivi), che le nostre società dovranno risolvere nel non lontano futuro.
La medicina allunga la vita lavorativa, i robot riducono i costi, la paura dell’immigrazione calerà