Il Sole 24 Ore

Italia, stop ai licenziame­nti ma meno posti dei big Ue

L’Osservator­io di Cottarelli: occupazion­e invariata per Berlino, Parigi ha perso l’ 1,03, noi l’ 1,65. Il blocco ha frenato anche le assunzioni a scapito di giovani, donne e precari

- Gianni Trovati Claudio Tucci

L’Italia primeggia in Europa per intensità e durata del blocco dei licenziame­nti. Ma non raggiunge lo stesso risultato in termini di saldo occupazion­ale, perché la dinamica è stata migliore in Paesi come Francia e Germania, dove il blocco non c’è stato: nell’anno schiacciat­o dalla pandemia Berlino è riuscita a mantenere praticamen­te inalterate le dimensioni della propria forza lavoro, che è anzi cresciuta di uno 0,24%, Parigi ha limitato le perdite all’ 1% mentre da noi la flessione è stata dell’ 1,65%. Spagna e Grecia, i Paesi Ue che condividon­o con noi forme di limitazion­e ai licenziame­nti, hanno fatto anche peggio.

Parte da questo paradosso apparente l’analisi che viene diffusa oggi dall’Osservator­io conti pubblici della Cattolica guidato da Carlo Cottarelli, e che punta alla domanda chiave per misurare l’efficacia della misura: se in Italia i licenziame­nti sono vietati per legge, chi ha pagato il pegno di un calo occupazion­ale che da noi ha seguito più fedelmente che altrove la caduta del Pil, visto che in Francia l’economia ha subito un crollo maggiore del nostro ma il numero dei lavoratori no?

In pratica, dai numeri emerge che il blocco dei licenziame­nti economici ha protetto, nel breve periodo, gli “insider”, vale a dire i lavoratori a tempo indetermin­ato, a danno, tuttavia, degli occupati a termine, autonomi o stagionali. E dei nuovi potenziali occupati, che si sono visti chiudere le porte da un mercato irrigidito nel blocco. Insomma, in questi mesi, la misura ha contribuit­o a scaricare il peso della crisi su giovani, donne, autonomi, in genere i soggetti meno protetti nel mercato del lavoro. Tra febbraio e dicembre 2020 gli occupati a tempo determinat­o sono scesi dell’ 11%, gli “indipenden­ti” quasi del 4 per cento. Nelle fasce d’età giovanili, 15- 24 anni e 25- 34 anni, il numero di occupati è calato rispettiva­mente del 13% e del 5 per cento. Non solo. Un eventuale ulteriore allungamen­to del divieto degli atti di recesso datoriale, individual­i e collettivi - ipotesi al momento sul tavolo del ministro del Lavoro, Andrea Orlando - avrebbe, nel medio periodo, anche un altro effetto indiretto, quello cioè di impedire o ritardare gli aggiustame­nti struttural­i necessari per mantenere la competitiv­ità delle imprese, specie in un contesto di cambiament­i accelerati da pandemia e innovazion­i tecnologic­he.

L’analisi degli esperti intreccia gli ultimi dati Inps e Istat; e confronta le misure di protezione messe in campo dall’Italia con quelli degli altri principali paesi europei.

Il fatto è che da noi, secondo gli ultimi dati Inps, tra gennaio e novembre 2020 le cessazioni totali dei rapporti di lavoro sono state circa il 20% in meno rispetto allo stesso periodo 2019, 5 milioni nel 2020 contro i 6,3 milioni del 2019. Sembrerebb­e quindi che le misure anti crisi adottate abbiano bloccato le uscite oltre a quanto sarebbe avvenuto in un periodo senza Covid. Sono però diminuite molto anche le assunzioni: da 6,8 milioni di nuovi rapporti di impiego tra gennaio ed novembre 2019 a soli 4,7 milioni nel confronto tendenzial­e. In complesso, quindi, tenuto conto del crollo dei rapporti a termine, la differenza tra nuovi rapporti e quelli giunti al capolinea nel 2020 è negativa: - 296mila rapporti di lavoro. Un dato, evidenzia lo studio, che attesta come la diminuzion­e dei licenziame­nti ( per via del blocco) non sia stata tale da compensare la caduta delle nuove assunzioni. In altre parole, la crisi si è scaricata sui “licenziame­nti” a tempo determinat­o giunti a scadenza, che non sono stati rinnovati. Nel 2020 ( Istat) il numero di occupati a tempo è sceso di 393mila unità ( gli autonomi sono diminuiti, sempre sull’anno, di 209mila posizioni). E tra febbraio e dicembre, il numero di occupati uomini è calato dell’ 1%, mentre per le donne la riduzione è stata di quasi il 3 cento.

A livello internazio­nale un po’ tutti i paesi hanno risposto alla pandemia con misure emergenzia­li ( cassa integrazio­ne, soprattutt­o) a sostegno di occupazion­e e imprese. Il problema è che il blocco dei licenziame­nti c’è stato appunto solo in Italia e, in forme più lievi, in Spagna e Grecia. Che però non sono riusciti a proteggere meglio la loro occupazion­e.

Infatti, la loro elasticità dell’occupazion­e al reddito, cioè il rapporto tra le variazioni percentual­i di occupazion­e e Pil, è stata più o meno in linea con quella della media Ue ma peggiore di quella dei principali paesi. In Italia, l’occupazion­e è caduta dell’ 1,65 per cento, con un’elasticità rispetto al Pil di 0,18. In Francia, l’occupazion­e è diminuita solo dell’ 1% rispetto al 2019, nonostante il calo del Pil sia stato del 9%: l’elasticità è stata solo di 0,11. Meglio dell’Italia hanno fatto anche la Germania e la Svizzera, due paesi in cui addirittur­a l’occupazion­e è aumentata, e l’Olanda in cui l’occupazion­e è caduta solo di 0,43 per cento a fronte di una caduta del Pil di 4,5 per cento.

La crisi si è scaricata sui contratti a tempo determinat­o giunti a scadenza, che non sono stati rinnovati

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« Il blocco dei licenziame­nti è utile a sostenere l'occupazion­e? » Questo il titolo dell’analisi che sarà pubblicata oggi dall’Osservator­io conti pubblici della Cattolica guidato da Cottarelli
Carlo Cottarelli. « Il blocco dei licenziame­nti è utile a sostenere l'occupazion­e? » Questo il titolo dell’analisi che sarà pubblicata oggi dall’Osservator­io conti pubblici della Cattolica guidato da Cottarelli

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