Il rapporto Usa inchioda il principe bin Salman
Autorizzata l’operazione a Istanbul per « catturare o uccidere » il giornalista
Il rapporto dell’intelligence Usa sull’uccisione di Jamal Khashoggi elenca 21 persone che gli 007 americani ritengono complici o responsabili per la morte del giornalista dissidente per conto del principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman.
La svolta di Biden con Riad è un duro colpo all’immagine del giovane leader
« Riteniamo che il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman abbia approvato un’operazione a Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi » . La conclusione del rapporto declassificato e diffuso ieri dall’Ufficio del Direttore dell’intelligence nazionale americana non lascia spazio ad alcun dubbio .
Per Mohammed Bin Salman, 35 anni, noto anche come Mbs, è un durissimo colpo alla sua immagine, inferto dal Governo di un Paese che fino a quattro mesi fa era il suo alleato più stretto. E accondiscendente.
Il presidente americano Joe Biden ha così voluto pubblicare il rapporto, che include altre 21 persone « responsabili o complici » , sul barbaro assassinio del giornalista dissidente, fatto a pezzi nell’ottobre del 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul.
I sauditi in principio avevano negato ogni coinvolgimento, ma dopo le immagini sul commando giunto da Riad, avevano dato la colpa a servizi segreti deviati, escludendo ogni minimo coinvolgimento di Mbs. Alla fine l’Affaire Kashoggi Kashoggisi si è concluso con 11 persone alla sbarra, cinque delle quali con una condanna a morte commutata in 20 anni di reclusione.
Prima di diffondere il rapporto, Biden aveva chiamato di persona l’anziano ( 85 anni) Re Saudita, Salman, per informarlo della pubblicazione del rapporto e rassicurarlo. Precisando di voler « rendere le relazioni bilaterali il più forti e trasparenti possibili » . Anche questo è uno schiaffo al potente Mbs, l’uomo che di fatto tiene le redini del Regno. Quasi che Biden, bypassando l’ambizioso ma autoritario principe, volesse prendere le distanze da Donald Trump. Peraltro un altro schiaffo ai sauditi lo aveva a dato soltanto due settimane dopo il suo insediamento, quando aveva criticato la « catastrofe umanitaria e strategica » provocata dalla campagna saudita nella guerra in Yemen, giunta al settimo anno con un bilancio di 110mila vittime, decidendo poi di ritirare il prezioso sostegno americano alle attività militari ( offensive) saudite in Yemen dirette contro gli Houti, ribelli sciiti a loro volta sostenuti dall’Iran.
Quella era la guerra voluta dal giovane Mbs, decisa quando era ministro della Difesa e portata avanti fino a oggi. Con risultati assai deludenti, ottenuti peraltro con un’inaccettabile serie di danni collaterali nei confronti della popolazione civile yemenita.
La linea del neo presidente americano appare più sensata di quella della precedente Amministrazione. Tuttavia appare più difficile da perseguire. Cercare di riportare l’Iran al tavolo dei negoziati sul nucleare e allo stesso tempo mantenere rapporti, pur ricalibrandoli, con un partner strategico sulla sicurezza, e un fornitore di greggio, che tuttavia ha come acerrimo nemico proprio l’Iran, è una sfida tanto accattivante quanto difficile.
Quasi a voler rassicurare Riad, Biden ha informato Re Salman prima del raid aereo compiuto tra giovedì e venerdì, contro strutture legate a una milizia filoiraniana in Siria, costato la vita a 27 miliziani. Una rappresaglia ai tre precedenti attacchi missilistici contro le forze Usa in Iraq.
La decisione di rendere pubblico questo rapporto, mantenuto segreto da Trump, mette in luce il drastico cambio di rotta intrapreso dalla nuova Amministrazione. Termini come « diritti umani » e « trasparenza » non erano mai utilizzati da Trump quando in ballo c’erano alleati in alcuni importanti, ma in alcuni casi allergici allo stato di diritto. L’Arabia, accusata di gravi violazioni dei diritti umani, si trova peraltro in una situazione imbarazzante in quanto Paese osservatore del Consiglio Onu dei diritti umani,
E ora cosa accadrà dopo la pubblicazione del rapporto? Secondo fonti vicine alla Casa Bianca riportate dai media americani, l’Amministrazione Usa sta seriamente valutando lo stop alla fornitura di armi dirette a essere utilizzate in modo offensivo nel conflitto in Yemen. La linea di Biden era stata precisata prima da un suo portavoce: « Il nostro obiettivo è metter fine al conflitto in Yemen mentre continuiamo ad assicurare che l’Arabia abbia tutto ciò che le serve per difendere il suo territorio e la sua popolazione » . Tra le altre ritorsioni potrebbero scattare sanzioni contro i sauditi accusati di aver preso parte all’omicidio.
Difficile, però, che il principe reggente finisca di persona nel mirino. Sarebbe come spazzare via l’asse su cu Trump aveva impernato la grande alleanza con Mbs nella sua prima visita a Riad, nel maggio 2017, confermando e firmando accordi di fornitura di armi per 110 miliardi di dollari.
La partita che sta giocando Biden è molto complessa. L’alleanza con Riad resta preziosa, quasi irrinunciabile. È stata forgiata nel febbraio 1945, quando Stati Uniti e Arabia Saudita diedero vita alla loro alleanza: petrolio e basi militari in cambio della protezione americana. Da allora, tra alti e bassi, questa alleanza ha resistito. Anche a momenti di crisi, come l’ 11 settembre 2001, quando si apprese che gran parte del commando terrorista che si schiantò contro le Torri Gemelle e il Pentagono erano cittadini sauditi. È un rapporto a volte contraddittorio, fatto di momenti di alta tensione. Scomodo ma necessario nel Medio Oriente di oggi, dove l’Iran sta allargando la sua influenza e la Russia è ormai il dominus della Siria. Biden sta cercando di mantenerlo in vita. Senza però compromettere la nuova immagine che vuole dare alla sua Amministrazione. Non sarà facile.