La corsa dei tassi Usa spaventa: Borse ancora ad alta tensione
Il veloce aumento dei rendimenti decennali Usa fino all’ 1,6% ( e dei tassi reali) è « veleno » per i listini: Piazza Affari chiude la seconda settimana in rosso. Si calma la caduta di Wall Street
Non è una questione di livello, ma del tempo che si impiega per raggiungerlo. L’aumento dei tassi di interesse dei Treasury, i titoli di Stato Usa ( e di riflesso dei bond governativi a livello globale) è di sicuro l’elemento scatenante degli episodi di volatilità che hanno interessato i mercati azionari e in generale le attività a rischio nelle ultime settimane. A preoccupare non è però tanto il balzo fino all’ 1,5% del decennale americano ( dopo qualche puntata oltre 1,60%), quanto la rapidità con cui si è arrivati fino a questo punto, e il fatto che i movimenti più recenti non siano stati accompagnati da un aumento parallelo delle aspettative di inflazione. In altre parole, a crescere sono stati i tassi reali, che è un po’ come iniettare veleno nelle arterie dei mercati, come si spiega in modo più dettagliato anche negli altri articoli in queste pagine.
Visto dalla prospettiva delle Borse, il fenomeno si è tradotto in un’ondata di vendite che, escludendo il vuoto d’aria di fine gennaio, rappresenta l’episodio di volatilità più pronunciato dopo lo scoppio della pandemia e il successivo ( ma momentaneo) ritracciamento avvenuto fra settembre e ottobre. Niente di allarmante sotto l’aspetto dei numeri in sé: ieri Piazza Affari ha ceduto lo 0,93% e ha chiuso la seconda settimana consecutiva al ribasso, ma il mese di febbraio appena terminato presenta un bilancio ampiamente positivo, con un rialzo complessivo che sfiora il 6 per cento. Wall Street dopo il giovedì nero ha chiuso in rlalzo di qualche decimale, con il Nasdad oltre il + 1% a pochi minuti dalla chiusura.
Il problema sta anche in questo caso nella rapidità della successione delle situazioni che si stanno proponendo agli investitori, il cui posizionamento riflette prospettive ottimiste per i prossimi sei mesi e appare ancora piuttosto sbilanciato verso l’azionario e in generale nei confronti dei mercati a rischio. « La percentuale di “tori” tra gli investitori Usa è tornata al 47%, dieci punti in più rispetto a inizio febbraio » , nota Stefan Scheurer di Allianz Global Investor, citando i dati dell’American Association of Individual Investors e spiegando soprattutto che il miglioramento dell’umore si è tradotto in una rincorsa ai fondi azionari.
« Nelle scorse 16 settimane - aggiunge infatti Scheurer - si sono registrati flussi netti in entrata pari a 370 miliardi di dollari, mentre oltre 900 miliardi restano “parcheggiati” nei fondi globali del mercato monetario » . E il fatto che, secondo l’ultima indagine di Bank of America, i gestori abbiano ridotto la percentuale detenuta in liquidità al 3,8%, cioè al livello più basso da marzo 2013, porta l’analista a porre qualche interrogativo: « Questi dati - avverte ancora Scheurer - dovrebbero far riflettere gli investitori perché mostrano un sentiment tutt’ora estremamente positivo e pronto per un’inversione di tendenza » .
A tentare di placare le acque che minacciano tempesta sono ancora una volta chiamate le Banche centrali, Federal Reserve Usa e la Banca centrale europea in primis. Finora i due presidenti, Jerome Powell e Christine Lagarde, hanno avuto il loro bel da fare nell’invitare a mantenere i nervi saldi, come dimostra anche l’impennata del Bund (- 0,26%) e in chiave italiana il BTp decennale allo 0,76% ( con spread Italia- Germania di nuovo oltre 100 punti base). « Se i fattori tecnici del mercato spingeranno ancora al rialzo i rendimenti e i commenti delle Banche centrali non riusciranno a placare i movimenti si rischia di avere un mese di marzo agitato » , lamenta Mark Dowding, capo degli investimenti di BlueBay.
Certo, a sentire gli esperti di mercato non è detto che questo particolare mini- ciclo rialzista sui tassi non sia già arrivato agli sgoccioli, prevedere i tempi e gli sviluppi del fenomeno resta in ogni caso difficile. « E se i rendimenti decennali Usa dovessero invece muoversi rapidamente verso l’ 1,75% - mette in guardia Dowding - allora non saremmo sorpresi di assistere a un crollo dell’S& P 500 del 5% o più, in grado a sua volta di innescare un ritracciamento dei bond corporate e dei mercati emergenti » .
In situazioni come queste la cautela è ovviamente d’obbligo, non manca però chi pensa che la pausa dei listini azionari sia in qualche modo salutare ( ancorché dolorosa) e che gli effetti della ripresa economica sulle imprese possano funzionare da migliore antidoto al veleno iniettato dal rialzo dei tassi. « Una crescita forte e sostenibile degli utili aziendali dovrebbe limitare gli effetti negativi indotti dall’aumento dei rendimenti obbligazionari » , rassicura Christian Stocker, strategist sull’azionario di UniCredit, che per questo motivo non si aspetta « una pressione duratura sui mercati azionari, ma un periodo di maggiore volatilità con l’arrivo della primavera » . Il duello tra i pessimisti e chi, invece, prevede un altro giro di giostra sui listini è evidentemente destinato a rinnovarsi in eterno.