Il Sole 24 Ore

La corsa dei tassi Usa spaventa: Borse ancora ad alta tensione

Il veloce aumento dei rendimenti decennali Usa fino all’ 1,6% ( e dei tassi reali) è « veleno » per i listini: Piazza Affari chiude la seconda settimana in rosso. Si calma la caduta di Wall Street

- Maximilian Cellino

Non è una questione di livello, ma del tempo che si impiega per raggiunger­lo. L’aumento dei tassi di interesse dei Treasury, i titoli di Stato Usa ( e di riflesso dei bond governativ­i a livello globale) è di sicuro l’elemento scatenante degli episodi di volatilità che hanno interessat­o i mercati azionari e in generale le attività a rischio nelle ultime settimane. A preoccupar­e non è però tanto il balzo fino all’ 1,5% del decennale americano ( dopo qualche puntata oltre 1,60%), quanto la rapidità con cui si è arrivati fino a questo punto, e il fatto che i movimenti più recenti non siano stati accompagna­ti da un aumento parallelo delle aspettativ­e di inflazione. In altre parole, a crescere sono stati i tassi reali, che è un po’ come iniettare veleno nelle arterie dei mercati, come si spiega in modo più dettagliat­o anche negli altri articoli in queste pagine.

Visto dalla prospettiv­a delle Borse, il fenomeno si è tradotto in un’ondata di vendite che, escludendo il vuoto d’aria di fine gennaio, rappresent­a l’episodio di volatilità più pronunciat­o dopo lo scoppio della pandemia e il successivo ( ma momentaneo) ritracciam­ento avvenuto fra settembre e ottobre. Niente di allarmante sotto l’aspetto dei numeri in sé: ieri Piazza Affari ha ceduto lo 0,93% e ha chiuso la seconda settimana consecutiv­a al ribasso, ma il mese di febbraio appena terminato presenta un bilancio ampiamente positivo, con un rialzo complessiv­o che sfiora il 6 per cento. Wall Street dopo il giovedì nero ha chiuso in rlalzo di qualche decimale, con il Nasdad oltre il + 1% a pochi minuti dalla chiusura.

Il problema sta anche in questo caso nella rapidità della succession­e delle situazioni che si stanno proponendo agli investitor­i, il cui posizionam­ento riflette prospettiv­e ottimiste per i prossimi sei mesi e appare ancora piuttosto sbilanciat­o verso l’azionario e in generale nei confronti dei mercati a rischio. « La percentual­e di “tori” tra gli investitor­i Usa è tornata al 47%, dieci punti in più rispetto a inizio febbraio » , nota Stefan Scheurer di Allianz Global Investor, citando i dati dell’American Associatio­n of Individual Investors e spiegando soprattutt­o che il migliorame­nto dell’umore si è tradotto in una rincorsa ai fondi azionari.

« Nelle scorse 16 settimane - aggiunge infatti Scheurer - si sono registrati flussi netti in entrata pari a 370 miliardi di dollari, mentre oltre 900 miliardi restano “parcheggia­ti” nei fondi globali del mercato monetario » . E il fatto che, secondo l’ultima indagine di Bank of America, i gestori abbiano ridotto la percentual­e detenuta in liquidità al 3,8%, cioè al livello più basso da marzo 2013, porta l’analista a porre qualche interrogat­ivo: « Questi dati - avverte ancora Scheurer - dovrebbero far riflettere gli investitor­i perché mostrano un sentiment tutt’ora estremamen­te positivo e pronto per un’inversione di tendenza » .

A tentare di placare le acque che minacciano tempesta sono ancora una volta chiamate le Banche centrali, Federal Reserve Usa e la Banca centrale europea in primis. Finora i due presidenti, Jerome Powell e Christine Lagarde, hanno avuto il loro bel da fare nell’invitare a mantenere i nervi saldi, come dimostra anche l’impennata del Bund (- 0,26%) e in chiave italiana il BTp decennale allo 0,76% ( con spread Italia- Germania di nuovo oltre 100 punti base). « Se i fattori tecnici del mercato spingerann­o ancora al rialzo i rendimenti e i commenti delle Banche centrali non riuscirann­o a placare i movimenti si rischia di avere un mese di marzo agitato » , lamenta Mark Dowding, capo degli investimen­ti di BlueBay.

Certo, a sentire gli esperti di mercato non è detto che questo particolar­e mini- ciclo rialzista sui tassi non sia già arrivato agli sgoccioli, prevedere i tempi e gli sviluppi del fenomeno resta in ogni caso difficile. « E se i rendimenti decennali Usa dovessero invece muoversi rapidament­e verso l’ 1,75% - mette in guardia Dowding - allora non saremmo sorpresi di assistere a un crollo dell’S& P 500 del 5% o più, in grado a sua volta di innescare un ritracciam­ento dei bond corporate e dei mercati emergenti » .

In situazioni come queste la cautela è ovviamente d’obbligo, non manca però chi pensa che la pausa dei listini azionari sia in qualche modo salutare ( ancorché dolorosa) e che gli effetti della ripresa economica sulle imprese possano funzionare da migliore antidoto al veleno iniettato dal rialzo dei tassi. « Una crescita forte e sostenibil­e degli utili aziendali dovrebbe limitare gli effetti negativi indotti dall’aumento dei rendimenti obbligazio­nari » , rassicura Christian Stocker, strategist sull’azionario di UniCredit, che per questo motivo non si aspetta « una pressione duratura sui mercati azionari, ma un periodo di maggiore volatilità con l’arrivo della primavera » . Il duello tra i pessimisti e chi, invece, prevede un altro giro di giostra sui listini è evidenteme­nte destinato a rinnovarsi in eterno.

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Dopo il tonfo di Wall Street e Nasdaq di giovedì, ieri hanno seguito a ruota le Borse asiatiche e quelle europee. Queste ultime hanno però limitato i danni. Il timore nasce dalla risalita dei rendimenti Usa
AP La caduta. Dopo il tonfo di Wall Street e Nasdaq di giovedì, ieri hanno seguito a ruota le Borse asiatiche e quelle europee. Queste ultime hanno però limitato i danni. Il timore nasce dalla risalita dei rendimenti Usa

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