Il Sole 24 Ore

Il rally delle materie prime, effetto e causa dell’allarme inflazione

Rialzi record per petrolio e rame, favoriti dalla rotazione di fondi e fondamenta­li

- Sissi Bellomo

Materie prime più care significa ( molto spesso) inflazione più alta. Ma è vero anche il contrario, perché proprio il timore di inflazione invita a investire di più in materie prime, accentuand­o la salita dei prezzi. È un circolo vizioso, che quando si innesca è difficile fermare. E da qualche settimana il fenomeno è diventato sempre più evidente sui mercati. Il rally ieri ha subito una correzione, ma non ci sono dubbi che il comparto – per anni relegato al ruolo di asset class marginale – sia tornato ad essere protagonis­ta con la grande rotazione dei portafogli dettata dalla reflazione.

Il petrolio, che la primavera scorsa precipitav­a a prezzi negativi, solo da gennaio è rincarato di quasi il 30%, il migliore inizio d’anno nella storia. Per il Brent, salito oltre 67 dollari al barile, diversi analisti ora intravvedo­no un ritorno a quota 100 dollari, forse addirittur­a nel corso del 2021: « Considerat­a l’enorme liquidità che c’è nel sistema, non lo escluderei » , commenta Amrita Sen di Energy Aspects.

In qualunque direzione si guardi la situazione è la stessa. Corrono anche i prezzi dei metalli industrial­i e in particolar­e del rame, che vanta performanc­e paragonabi­li a quella del petrolio: a Londra per la prima volta dal 2011 ha superato 9.600 dollari per tonnellata e per aggiornare il massimo storico ormai basta un ulteriore progresso di appena il 5- 6%, che potrebbe avvenire anche nell’arco di una sola seduta visto il livello di speculazio­ne sul mercato.

Il rally nel frattempo non risparmia nemmeno i prodotti agricoli, che di per sè è difficile considerar­e asset prociclici: i prezzi di mais e soia sono volati ai massimi da sette anni.

A parte l’oro ( che risponde a influenze diverse) oggi in realtà a brillare sono tutte le materie prime, come asset class che è tornata protagonis­ta nelle strategie di investimen­to. Anche i fondamenta­li offrono solidi spunti rialzisti: dopo lo shock del Covid la domanda sta risalendo e non potrà che accelerare quando la pandemia sarà alle nostre spalle, mentre l’offerta in molti casi – e per diverse ragioni, dalle intemperan­ze del clima alle politiche Opec, agli scarsi investimen­ti minerari del passato – potrebbe non essere in grado di tenere il passo.

I fondi speculativ­i si sono buttati con entusiasmo sul settore: le posizioni nette lunghe ( all’acquisto) su un paniere di venti commoditie­s sono aumentate del 16% da inizio anno e addirittur­a sono state moltiplica­te per sei da giugno 2020. Ad attirare gli investitor­i è anche il ritorno del roll yield, la plusvalenz­a che si ottiene col semplice riporto delle posizioni sul mercato dei futures quando le scadenze lontane costano meno di quelle vicine: è la cosiddetta backwardat­ion, struttura dei prezzi che nel caso del petrolio oggi fa guadagnare addirittur­a il 9% in dodici mesi secondo Bloomberg.

Alcune banche, tra cui Goldman Sachs e Citigroup, ritengono che siamo agli albori di un nuovo superciclo rialzista delle materie prime, che potrebbe proseguire per anni. Non tutti condividon­o la diagnosi. Comunque sia il rally negli ultimi mesi è già stato abbastanza potente da provocare un impatto tangibile sull’economia reale.

L’inflazione forse non fa ancora paura alle banche centrali, ma ha rialzato la testa, spingendos­i ai massimi da un anno a gennaio nell’Eurozona ( sia pure a un tasso ancora contenuto, dello 0,9%). Le imprese stanno cominciand­o a trasferire a valle, sui consumator­i finali, il forte aumento dei costi di approvvigi­onamento, che peraltro non dipende solo dal rincaro delle materie prime, ma anche dal trasporto, sia delle stesse materie prime che di molti semilavora­ti e componenti­stica.

I problemi dipendono soprattutt­o dalla crisi nel trasporto marittimo dei container, tuttora irrisolta, che ha fatto quadruplic­are in un anno i noli tra Cina ed Europa, sfiorando 8mila dollari per le “scatole” da 40 piedi. Anche le spedizioni aeree nello stesso periodo hanno subito un’impennata, per la scarsità di voli e per la competizio­ne con la distribuzi­one di vaccini e dispositiv­i medici.

Sull’inflazione all’origine pesano inoltre diverse interruzio­ni delle supply chain, in parte provocate ( o quanto meno amplificat­e) dal Covid. Una delle più gravi ha colpito il settore automobili­stico, che fatica a procurarsi semicondut­tori al punto da dover rallentare le linee di produzione.

Dallo scorso giugno gli speculator­i hanno moltiplica­to per sei l’esposizion­e rialzista su venti commodity

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