Il Sole 24 Ore

Brand chiusi in una stanza, Clubhouse divide gli esperti

Le aziende, dalle grandi multinazio­nali alle piccole e medie, si interrogan­o sul social network del momento Da Peroni a Barilla ecco le testimonia­nze e i consigli dei manager che hanno già debuttato con la propria voce

- Giampaolo Colletti Fabio Grattaglia­no

Metterci la faccia mettendoci la voce. Nel tempo degli effetti speciali multimedia­li e immersivi c’è una piattaform­a che ha scelto di andare controcorr­ente. O forse no. Perché Clubhouse – social network statuniten­se con chat audio ad invito, nato nell’aprile 2020 – si sta imponendo rapidament­e proprio per l’uso semplifica­to del solo mezzo vocale. L’intuizione è di due ex ingegneri di Google, Paul Davison e Rohan Seth. La voce diventa fugace e labile perché è da fruire in tempo reale e senza memoria. Ma la voce parla anche ad una tribù volutament­e ristretta e su invito ( il palcosceni­co è condiviso, ma non supera i cinquemila utenti). Un modello che richiama quello delle radio degli anni ’ 70 fatto di conversazi­oni continue, solitament­e portate avanti senza scalette e canovacci nelle ore notturne. Clubhouse come croce e delizia dei profession­isti del marketing, che ancora faticano a decifrare il potenziale racchiuso in una app valutata oltre 1,2 miliardi di dollari. Tant’è che a fronte di alcuni pionieri che si sono lanciati nella sperimenta­zione sulla piattaform­a, altri brand si mostrano molto cauti ( se non scettici), in attesa che si comprendan­omeglioopp­ortunitàes­tra- comprendan­omeglioopp­ortunità estrategie, minimizzan­do i rischi di una presenza in presa diretta e senza paracadute. « Dopo molte interazion­i nello spazio audio abbiamo lanciato Clubhouse per costruire un’esperienza sociale più umana, dove invece di postare si può parlare. La cosa che amiamo di più è come la voce possa unire le persone. In uno degli anni più turbolenti e travagliat­i che molti di noi hanno vissuto, le persone su Clubhouse si sono riunite per conversare » , hanno scritto i due fondatori, che hanno raccolto già nella primavera 2020 ben 12 milioni di dollari di finanziame­nti. Oggi l’app conta 6 milioni di utenti, con una crescita limitata solo dal meccanismo di iscrizione confinato al sistema operativo iOS. « Per molti, ma non per tutti » : così recitava uno spot degli anni ’ 80 entrato nell'immaginari­o collettivo. E in fondo quel concetto esclusivis­ta dell’invito ci riporta ad una dimensione elitaria. Al bando la ricerca spasmodica delle platee sterminate e quasi generalist­e con le metriche quantitati­ve. Oggi si punta sulla nicchia qualitativ­a, con quelle stanze aperte che in fondo hanno la porta socchiusa. « Quello che viene detto su Clubhouse rimane su Clubhouse » , si legge nel manifesto identitari­o. Nei consumi digitali contempora­nei tutto questo rappresent­a un cambio di baricentro, perché implica una condivisio­ne del potere editoriale che diventa diffuso nella community, potenzialm­ente però fuori controllo e a rischio privacy, come ha rilevato pochi giorni fa lo Stanford Internet Observator. Ma in fondo il futuro sarà nel privato: lo aveva affermato Mark Zuckerberg alla conferenza annuale degli sviluppato­ri di Facebook già due anni fa. Non a caso proprio lui, insieme a Elon Musk, ha scardinato le porte delle stanze. Il papà di Tesla e SpaceX ha invitato addirittur­a Vladimir Putin su Clubhouse, con una risposta possibilis­ta da parte del Cremlino e affidata all’agenzia Tass. E allora, esserci o non esserci? Questo è il dilemma per le aziende. Nel mondo il primo brand ad abitare queste nuove stanze è stato Burger King, Ma arrivarci implica un lavoro preparator­io perché nel club si dialoga senza paracadute. È la rappresent­azione plastica della disinterme­diazione in atto. La sfida si misurerà sull’intratteni­mento di qualità e sulla personaliz­zazione dell’impresa attraverso manager che diventano vocalist. Ancora una volta l’evoluzione dei linguaggi nei precari equilibri dei social edonistici ci riporta all’escalation segnata dal personal branding. Quindi la vera questione è un’altra: sapranno i nuovi manager d'impresa – i leader che guidano i brand nella disinterme­diazione in atto con i clienti e che detengono ancora il tesoretto della fiducia in un mondo che ha perso riferiment­i – saper intercetta­re l’interesse di nicchie selezionat­e di pubblico ispirando, conversand­o, aiutando?

Per i manager la vera difficoltà per affrontare con successo la presenza su Clubhouse è quella di diventare speaker

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Il papà di Tesla e SpaceX Elon Musk ha invitato addirittur­a Vladimir Putin su Clubhouse, con una risposta possibilis­ta da parte del
Cremlino e affidata all’agenzia Tass
REUTERS Sperimenta­tore. Il papà di Tesla e SpaceX Elon Musk ha invitato addirittur­a Vladimir Putin su Clubhouse, con una risposta possibilis­ta da parte del Cremlino e affidata all’agenzia Tass

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