Brand chiusi in una stanza, Clubhouse divide gli esperti
Le aziende, dalle grandi multinazionali alle piccole e medie, si interrogano sul social network del momento Da Peroni a Barilla ecco le testimonianze e i consigli dei manager che hanno già debuttato con la propria voce
Metterci la faccia mettendoci la voce. Nel tempo degli effetti speciali multimediali e immersivi c’è una piattaforma che ha scelto di andare controcorrente. O forse no. Perché Clubhouse – social network statunitense con chat audio ad invito, nato nell’aprile 2020 – si sta imponendo rapidamente proprio per l’uso semplificato del solo mezzo vocale. L’intuizione è di due ex ingegneri di Google, Paul Davison e Rohan Seth. La voce diventa fugace e labile perché è da fruire in tempo reale e senza memoria. Ma la voce parla anche ad una tribù volutamente ristretta e su invito ( il palcoscenico è condiviso, ma non supera i cinquemila utenti). Un modello che richiama quello delle radio degli anni ’ 70 fatto di conversazioni continue, solitamente portate avanti senza scalette e canovacci nelle ore notturne. Clubhouse come croce e delizia dei professionisti del marketing, che ancora faticano a decifrare il potenziale racchiuso in una app valutata oltre 1,2 miliardi di dollari. Tant’è che a fronte di alcuni pionieri che si sono lanciati nella sperimentazione sulla piattaforma, altri brand si mostrano molto cauti ( se non scettici), in attesa che si comprendanomeglioopportunitàestra- comprendanomeglioopportunità estrategie, minimizzando i rischi di una presenza in presa diretta e senza paracadute. « Dopo molte interazioni nello spazio audio abbiamo lanciato Clubhouse per costruire un’esperienza sociale più umana, dove invece di postare si può parlare. La cosa che amiamo di più è come la voce possa unire le persone. In uno degli anni più turbolenti e travagliati che molti di noi hanno vissuto, le persone su Clubhouse si sono riunite per conversare » , hanno scritto i due fondatori, che hanno raccolto già nella primavera 2020 ben 12 milioni di dollari di finanziamenti. Oggi l’app conta 6 milioni di utenti, con una crescita limitata solo dal meccanismo di iscrizione confinato al sistema operativo iOS. « Per molti, ma non per tutti » : così recitava uno spot degli anni ’ 80 entrato nell'immaginario collettivo. E in fondo quel concetto esclusivista dell’invito ci riporta ad una dimensione elitaria. Al bando la ricerca spasmodica delle platee sterminate e quasi generaliste con le metriche quantitative. Oggi si punta sulla nicchia qualitativa, con quelle stanze aperte che in fondo hanno la porta socchiusa. « Quello che viene detto su Clubhouse rimane su Clubhouse » , si legge nel manifesto identitario. Nei consumi digitali contemporanei tutto questo rappresenta un cambio di baricentro, perché implica una condivisione del potere editoriale che diventa diffuso nella community, potenzialmente però fuori controllo e a rischio privacy, come ha rilevato pochi giorni fa lo Stanford Internet Observator. Ma in fondo il futuro sarà nel privato: lo aveva affermato Mark Zuckerberg alla conferenza annuale degli sviluppatori di Facebook già due anni fa. Non a caso proprio lui, insieme a Elon Musk, ha scardinato le porte delle stanze. Il papà di Tesla e SpaceX ha invitato addirittura Vladimir Putin su Clubhouse, con una risposta possibilista da parte del Cremlino e affidata all’agenzia Tass. E allora, esserci o non esserci? Questo è il dilemma per le aziende. Nel mondo il primo brand ad abitare queste nuove stanze è stato Burger King, Ma arrivarci implica un lavoro preparatorio perché nel club si dialoga senza paracadute. È la rappresentazione plastica della disintermediazione in atto. La sfida si misurerà sull’intrattenimento di qualità e sulla personalizzazione dell’impresa attraverso manager che diventano vocalist. Ancora una volta l’evoluzione dei linguaggi nei precari equilibri dei social edonistici ci riporta all’escalation segnata dal personal branding. Quindi la vera questione è un’altra: sapranno i nuovi manager d'impresa – i leader che guidano i brand nella disintermediazione in atto con i clienti e che detengono ancora il tesoretto della fiducia in un mondo che ha perso riferimenti – saper intercettare l’interesse di nicchie selezionate di pubblico ispirando, conversando, aiutando?
Per i manager la vera difficoltà per affrontare con successo la presenza su Clubhouse è quella di diventare speaker