Il Sole 24 Ore

No al vaccino? È il medico a valutare l’inidoneità a specifiche mansioni

L’inizio della campagna di vaccinazio­ne non elimina la validità delle intese siglate Le parti sociali possono decidere di allinearsi alle innovazion­i scientific­he

- Giampiero Falasca

Solo il medico competente può valutare se per alcune attività specifiche il rifiuto del vaccino possa compromett­ere l’idoneità del lavoratore alla mansione in azienda. Resta in ogni caso valido il principio che il rispetto dei protocolli sanitari anti- Covid, anche se non dicono nulla o non sono aggiornati sull’obbligo vaccinale, è sufficient­e a escludere la responsabi­lità del datore di lavoro per eventuali contagi dei dipendenti.

I protocolli sanitari anti Covid sono strumenti ancora validi per gestire le misure contro la pandemia? Con l’approvazio­ne dei primi vaccini e l’avvio della campagna per la loro somministr­azione di massa, questi protocolli devono essere aggiornati? E se non sono aggiornati, restano comunque validi e vincolanti per le imprese oppure diventano inefficaci?

Queste le domande che circolano con frequenza sempre maggiore tra le aziende e gli operatori che si occupano di sicurezza sul lavoro, dopo che la scoperta dei vaccini contro il Covid ha cambiato e ampliato in modo importante il pacchetto di strumenti che possono essere messi in campo per combattere la diffusione del virus.

Non si può dare una risposta completa a queste domande senza ricordare che cosa sono i protocolli sanitari, degli accordi nati spontaneam­ente durante il lockdown e ben presto “avallati” dal Governo e dal legislator­e come strumenti essenziali per consentire alle imprese di superare la fase di chiusura totale garantendo il rientro dei lavoratori in azienda con criteri e modalità sicure.

Questi protocolli hanno funzionato molto bene: la condivisio­ne tra le parti sociali ha aiutato la scrittura di regole adeguate e ha favorito la loro applicazio­ne nelle imprese. Un successo talmente forte da generare un importante avallo legislativ­o con la legge di conversion­e del decreto- legge 23 dell’ 8 aprile 2020, che ha sancito ( all’articolo 29- bis) un principio fondamenta­le: il rispetto e il mantenimen­to delle prescrizio­ni dei protocolli anticontag­io, secondo le specifiche attività svolte, costituisc­ono forme di adempiment­o dell’articolo 2087 del Codice civile, uno dei principi fondamenta­li sui cui è imperniato l’intero sistema normativo di prevenzion­e nel nostro ordinament­o.

Sulla base di questa norma, ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid- 19, l’applicazio­ne delle prescrizio­ni contenute nel protocollo sottoscrit­to il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e negli altri protocolli, linee guida e accordi approvati dalle parti sociali comparativ­amente più rappresent­ative sul piano nazionale, è sufficient­e a escludere la responsabi­lità del datore di lavoro per eventuali contagi dei dipendenti.

Una sorta di “presunzion­e di innocenza” molto importante, che ha garantito alle imprese rispettose delle misure di prevenzion­e di gestire in modo equilibrat­o i rischi connessi al contagio dei dipendenti.

Nella stessa ottica di rafforzame­nto dei protocolli, lo stesso decreto legge stabilisce che le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferiment­o o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali.

Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, che non assicuri adeguati livelli di protezione determina quindi anche la sospension­e dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.

Queste misure ci confermano che la scelta del legislator­e è chiara e netta: il pacchetto di misure anti Covid che vanno applicate in azienda si trova nei protocolli, e il loro rispetto è condizione necessaria e sufficient­e per rispettare gli obblighi di prevenzion­e.

I dubbi sulla validità e attualità di questi documenti si legano al fatto che i protocolli possono, di volta in volta, essere modificati e aggiornati dalle parti sociali, in funzione delle innovazion­i tecnologic­he e scientific­he, come la scoperta di un vaccino.

L’intervento di queste novità può e deve essere sicurament­e considerat­o ai fini di un eventuale aggiorname­nto dei protocolli, ma non è un elemento sufficient­e a togliere validità ed efficacia ai testi già concordati, che mantengono forza vincolante ( devono essere applicati) ed efficacia scriminant­e ( il datore di lavoro che li applica può considerar­si un soggetto che rispetta l’articolo 2087 del Codice civile).

Certamente, le parti sociali devono porsi l’interrogat­ivo sull’opportunit­à di adeguare i protocolli rispetto alle innovazion­i scientific­he emerse in tema di vaccini, eventualme­nte modificand­oli in relazione ad alcune mansioni o settori specifici, dove il rifiuto del vaccino può avere un impatto negativo sull’idoneità alla mansione del dipendente. Ma è una scelta di merito che non inficia la validità delle procedure esistenti.

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