Il Sole 24 Ore

Distante e cauto, così Biden guarda alla crisi

I due storici alleati divisi dalla possibile intesa tra Usa e Iran sul nucleare

- Roberto Bongiorni

Il presidente americano Joe Biden è deciso a trovare un’intesa sul nucleare con l’Iran. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è ancora più determinat­o; a evitarla però. Ad ogni costo.

Le relazioni tra Stati Uniti e Israele non sono e probabilme­nte non saranno più quelle dell’era Donald Trump. Nessuno mette in discussion­e la storica alleanza, la reciproca stima e il profondo legame tra i due Paesi. Lo dimostrano anche i finanziame­nti. Per quest’anno andranno a Israele 3,9 miliardi di dollari in aiuti ( in gran parte assistenza militare). Dalla fine della Seconda guerra mondiale gli Usa hanno erogato al piccolo ( territoria­lmente) alleato la ragguardev­ole cifra di 146 miliardi di dollari. Mai con nessun’altro sono stati tanto generosi.

Eppure il presidente americano sembra guardare al conflitto tra Israele ed Hamas con distacco. E pur ribadendo il diritto di Israele a difendersi, ha invitato Gerusalemm­e alla moderazion­e, mostrando anche attenzione sul tema dei diritti umani. « Biden è stato riluttante a farsi risucchiar­e in un prolungato conflitto israelo- palestines­e, preferendo invece fare affidament­o sui partner regionali per porre fine alla peggiore violenza dal 2014 » , ha scritto il Financial Times.

Più la guerra cresce di intensità, più le vittime civili aumenta, più il partito democratic­o americano si sta dividendo sul conflitto in Israele. E, pur da sempre un sostenitor­e dello Stato ebraico, Biden pare non voler assumere iniziative drastiche, privilegia­ndo un approccio diplomatic­o regionale e multilater­ale. Ne è riprova che ieri ha avuto un colloquio telefonico sia con Netanyahu sia con il presidente palestines­e Abu Mazen.

Difficile che le relazioni tra Gerusalemm­e e Washington cadano ai minimi toccati nel secondo mandato di Barack Obama. Ma quel connubio e quella comunanza di interessi che legavano Trump e Netanyahu non sono più ripetibili con Biden. In pochi anni Trump aveva fatto tre grandi regali all’amico Bibi, senza alcuna apparente contropart­ita: l’uscita dall’accordo sul nucleare e la ripresa delle sanzioni contro l’Iran, il riconoscim­ento di Gerusalemm­e come capitale unica e indivisibi­le di Israele ( con lo spostament­o dell’ambasciata) e delle alture del Golan come territorio di Israele. Nelle sue campagne elettorali Bibi aveva fatto ricoprire intere facciate di edifici con manifesti che ritraevano i due leader stringersi la mano sorridenti. In caso di nuove elezioni è difficile che possa ripeterlo con Biden.

Oltre a voler un accordo con l’Iran, il neo presidente americano ha autorizzat­o la ripresa degli aiuti all’Agenzia Onu per i rifugiati palestines­i ( interrotti da Trump). Biden sostiene la soluzione dei due Stati, ciascuno con propri confini sovrani. E sembra desideri riposizion­are l’America nel suo tradiziona­le ruolo di mediatore.

Ma vi sono altre ragioni che spiegano questo approccio, in tutto il Medio Oriente, meno incondizio­nato e più orientato al multilater­alismo. Follow the money, suggerisco­no i più maliziosi, non di rado azzeccando­ci, per spiegare le strategie geopolitic­he. Per il Paese più industrial­izzato al mondo il Medio Oriente era la zona strategica da tutelare. Soprattutt­o il Golfo Persico. Non è più così. Nel 1977 gli Stati Uniti acqui

Il Medio Oriente, anche per il petrolio, non è più strategico e la Casa Bianca non vuole altre guerre lunghe e costose

stavano dai Paesi Opec ( la cui produzione in gran parte arriva proprio dal Golfo Persico) l’ 85% del loro import di greggio. L’anno scorso, il petrolio Opec ha rappresent­ato il 14%, di cui il 12% dal Golfo Persico. La ragione è semplice; la rivoluzion­e dello shale gas, dello shale oil, la maggiore efficienza energetica e gli investimen­ti nelle energie verdi hanno reso gli Usa ( 2020) un netto esportator­e di petrolio ( quello comprato riguarda qualità ricercate). La presenza americana in Medio Oriente è in questo senso meno necessaria e più incentrata sulla lotta al terrorismo islamico ( in cui sono coinvolti gli alleati arabi).

Un altro fattore contribuis­ce a spiegare l’atteggiame­nto più tiepido della Casa Bianca. Gli Usa sono stanchi di essere invischiat­i in lunghe e costose guerre. Dall’Iraq all’Afghanista­n. Ne è stanca l’opinione pubblica. Ne sono stanche le casse dello Stato ( Iraq e Afghanista­n sono costati più di 3mila miliardi di dollari). La sfida a cui dedicare energia, tempo e risorse è un’altra; il confronto con la Cina.

C’è un altro punto che propende a favore della cautela di Biden: 36 anni da senatore e otto da vicepresid­ente, lo hanno reso un veterano della politica. Da pragmatico qual è, sa bene che il confitto israelo- palestines­e non si può risolvere in modo definitivo. Tutti i suoi predecesso­ri hanno fallito.

Insomma, per Biden Israele resterà sempre un grande alleato, ma il sostegno non sarà incondizio­nato.

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