Distante e cauto, così Biden guarda alla crisi
I due storici alleati divisi dalla possibile intesa tra Usa e Iran sul nucleare
Il presidente americano Joe Biden è deciso a trovare un’intesa sul nucleare con l’Iran. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è ancora più determinato; a evitarla però. Ad ogni costo.
Le relazioni tra Stati Uniti e Israele non sono e probabilmente non saranno più quelle dell’era Donald Trump. Nessuno mette in discussione la storica alleanza, la reciproca stima e il profondo legame tra i due Paesi. Lo dimostrano anche i finanziamenti. Per quest’anno andranno a Israele 3,9 miliardi di dollari in aiuti ( in gran parte assistenza militare). Dalla fine della Seconda guerra mondiale gli Usa hanno erogato al piccolo ( territorialmente) alleato la ragguardevole cifra di 146 miliardi di dollari. Mai con nessun’altro sono stati tanto generosi.
Eppure il presidente americano sembra guardare al conflitto tra Israele ed Hamas con distacco. E pur ribadendo il diritto di Israele a difendersi, ha invitato Gerusalemme alla moderazione, mostrando anche attenzione sul tema dei diritti umani. « Biden è stato riluttante a farsi risucchiare in un prolungato conflitto israelo- palestinese, preferendo invece fare affidamento sui partner regionali per porre fine alla peggiore violenza dal 2014 » , ha scritto il Financial Times.
Più la guerra cresce di intensità, più le vittime civili aumenta, più il partito democratico americano si sta dividendo sul conflitto in Israele. E, pur da sempre un sostenitore dello Stato ebraico, Biden pare non voler assumere iniziative drastiche, privilegiando un approccio diplomatico regionale e multilaterale. Ne è riprova che ieri ha avuto un colloquio telefonico sia con Netanyahu sia con il presidente palestinese Abu Mazen.
Difficile che le relazioni tra Gerusalemme e Washington cadano ai minimi toccati nel secondo mandato di Barack Obama. Ma quel connubio e quella comunanza di interessi che legavano Trump e Netanyahu non sono più ripetibili con Biden. In pochi anni Trump aveva fatto tre grandi regali all’amico Bibi, senza alcuna apparente contropartita: l’uscita dall’accordo sul nucleare e la ripresa delle sanzioni contro l’Iran, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale unica e indivisibile di Israele ( con lo spostamento dell’ambasciata) e delle alture del Golan come territorio di Israele. Nelle sue campagne elettorali Bibi aveva fatto ricoprire intere facciate di edifici con manifesti che ritraevano i due leader stringersi la mano sorridenti. In caso di nuove elezioni è difficile che possa ripeterlo con Biden.
Oltre a voler un accordo con l’Iran, il neo presidente americano ha autorizzato la ripresa degli aiuti all’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi ( interrotti da Trump). Biden sostiene la soluzione dei due Stati, ciascuno con propri confini sovrani. E sembra desideri riposizionare l’America nel suo tradizionale ruolo di mediatore.
Ma vi sono altre ragioni che spiegano questo approccio, in tutto il Medio Oriente, meno incondizionato e più orientato al multilateralismo. Follow the money, suggeriscono i più maliziosi, non di rado azzeccandoci, per spiegare le strategie geopolitiche. Per il Paese più industrializzato al mondo il Medio Oriente era la zona strategica da tutelare. Soprattutto il Golfo Persico. Non è più così. Nel 1977 gli Stati Uniti acqui
Il Medio Oriente, anche per il petrolio, non è più strategico e la Casa Bianca non vuole altre guerre lunghe e costose
stavano dai Paesi Opec ( la cui produzione in gran parte arriva proprio dal Golfo Persico) l’ 85% del loro import di greggio. L’anno scorso, il petrolio Opec ha rappresentato il 14%, di cui il 12% dal Golfo Persico. La ragione è semplice; la rivoluzione dello shale gas, dello shale oil, la maggiore efficienza energetica e gli investimenti nelle energie verdi hanno reso gli Usa ( 2020) un netto esportatore di petrolio ( quello comprato riguarda qualità ricercate). La presenza americana in Medio Oriente è in questo senso meno necessaria e più incentrata sulla lotta al terrorismo islamico ( in cui sono coinvolti gli alleati arabi).
Un altro fattore contribuisce a spiegare l’atteggiamento più tiepido della Casa Bianca. Gli Usa sono stanchi di essere invischiati in lunghe e costose guerre. Dall’Iraq all’Afghanistan. Ne è stanca l’opinione pubblica. Ne sono stanche le casse dello Stato ( Iraq e Afghanistan sono costati più di 3mila miliardi di dollari). La sfida a cui dedicare energia, tempo e risorse è un’altra; il confronto con la Cina.
C’è un altro punto che propende a favore della cautela di Biden: 36 anni da senatore e otto da vicepresidente, lo hanno reso un veterano della politica. Da pragmatico qual è, sa bene che il confitto israelo- palestinese non si può risolvere in modo definitivo. Tutti i suoi predecessori hanno fallito.
Insomma, per Biden Israele resterà sempre un grande alleato, ma il sostegno non sarà incondizionato.