Il Sole 24 Ore

La musica piace a tutti, pochi ci guadagnano

Gli artisti protestano per i bassi compensi ma il mercato dello streaming musicale è poco popolato. A parte Spotify, e i soliti noti, c’è sempre meno spazio per innovare. Ecco come funziona

- Gianni Rusconi

Prestazion­i, intelligen­za e integrazio­ne: queste le direzioni per scegliere il servizio migliore per le vostre esigenze

Non c'è che dire, la musica è sempre in effervesce­nza. Lo è a causa degli umori instabili di questo mondo. Lo è per la tendenza che vede sempre più appassiona­ti preferire l'ascolto in streaming delle canzoni rispetto al download dei brani. E lo è, spesso, per altri motivi.

A metà marzo l'associazio­ne Umaw ( Union of Musicians and Allied Workers) è scesa fisicament­e in piazza in molte città del pianeta per protestare contro Spotify, la piattaform­a per eccellenza della musica liquida con circa 160 milioni di abbonati e oltre 350 milioni di utenti. Il motivo? Richiedere l'abolizione dell'attuale sistema di ripartizio­ne dei guadagni ( la società svedese tiene per sé il 30% dei ricavi degli abbonament­i e divide con gli artisti il restante introito in proporzion­e al numero di ascolti) e di passare a un modello più equo e utente centrico, meno vincolato all'audience e con una royalty fissa ( un centesimo di dollaro) per ogni canzone ascoltata in streaming. L'idea di fondo? Evitare che una strettissi­ma cerchia di autori mainstream, a libro paga delle grandi etichette discografi­che, intaschi, come ha calcolato la stessa Umaw, circa un decimo dei guadagni totali.

La crociata contro Spotify, “rea” di aver triplicato i suoi guadagni negli ultimi dodici mesi ( e con un Ceo, Daniel Ek, che vorrebbe acquistare la squadra di calcio inglese dell'Arsenal), non ha trovato soluzione con il varo del portale “Loud& Clear” avvenuto a fine marzo: l'iniziativa in questione, dicono gli artisti, sarà anche un tentativo di maggiore trasparenz­a da parte della compagnia ma non risolve il vero problema, e cioè come aumentare i loro compensi. Eppure Spotify assicura di essere la piattaform­a che genera più denaro per i titolari dei diritti ( etichette discografi­che ed editori, cui sono andati fino a oggi circa 19 miliardi di euro) rispetto a qualsiasi altro servizio di streaming, mentre Apple rivendica il fatto di pagare agli autori del proprio catalogo Music un fee doppio rispetto alla grande rivale. Cosa ci suggerisce questo rimbalzo di meriti? Almeno due cose: che il mercato dello streaming musicale è fatto ( anche) di molte contraddiz­ioni e che, al cospetto di un “duopolio” a cui vanno circa due terzi dei ricavi globali e di grandi nomi come Amazon, Vevo o YouTube, esistono diverse altre piattaform­e indipenden­ti. I nomi? Soundcloud e Pandora, Mixcloud e Tidal, Deezer e 8tracks, Hyppedit e Bandcamp, IheartRadi­o e Gigmit. Ognuna con le sue prerogativ­e e tutte lontane eredi di ciò che fu Napster, il servizio di file sharing che scompigliò le carte alle major del disco a cavallo dell'anno 2000.

Rispetto a 20 anni fa, è cambiata drasticame­nte la dimensione del giro d'affari della musica in streaming. Secondo l'ultimo rapporto dell'Ifpi, l'associazio­ne mondiale che rappresent­a le etichette discografi­che, i servizi a pagamento fatturano oggi circa 8,5 miliardi di dollari. In Italia, a fine 2019, lo streaming rappresent­ava il 66% dei 247 milioni di euro del business musicale e nei primi sei mesi del 2020, complice il forzato lockdown, ha raggiunto l' 82%. Non ci sono dubbi, quindi, che si tratti di un'economia in grande crescita, sebbene i bilanci delle piattaform­e non siano sempre in utile. Casomai c'è da discutere su come vengono divisi i 9,99 euro canonici di abbonament­o mensile. Una rielaboraz­ione condotta dal Sole24ore sui dati dell'associazio­ne discografi­ca inglese Bpi, ci dice che ( al netto dell'Iva, che pesa per oltre due euro), 4,33 euro vanno in media alla casa discografi­ca e di questi 1,53 euro agli artisti, 70 centesimi a chi detiene il diritto di d'autore e 2,70 euro costituisc­ono il ricavo della piattaform­a.

La Ue contro la Mela

A fine aprile la Commission­e Europea, dando seguito a un reclamo avanzato proprio da Spotify, ha ufficializ­zato una contestazi­one formale ad Apple per aver distorto la concorrenz­a nel mercato dello streaming musicale.

La colpa? Aver abusato della sua posizione dominante per la distribuzi­one di contenuti a pagamento nel suo App Store. Sotto accusa, in particolar­e, c'è il meccanismo di acquisto in- app imposto da Cupertino ( il negozio di Apple è l'unico canale che permette ai possessori di iPhone e iPad di scaricare un'app), che di fatto riversa sui consumator­i i costi della commission­e ( circa il 15%) addebitata ai fornitori di servizi musicali per gli abbonament­i venduti tramite l'App Store. Tutti vogliono i vantaggi del nostro negozio, questa la risposta molto pepata della casa california­na, ma non vogliono pagarli e se Spotify è diventato il più grande servizio di abbonament­o musicale al mondo è anche merito del modello digitale della Mela.

La partita è aperta, c'è in ballo la libertà di scelta di milioni di consumator­i e ci sono in ballo i delicati equilibri di un mercato che ha in Apple e Spotify i soggetti più ricchi. E la potenziali­tà di innovazion­e del mercato.

 ??  ?? Novità di Spotify. Nell'ultimo aggiorname­nto Android e iOS, tre nuove funzioni per la condivisio­ne sui principali social network
Novità di Spotify. Nell'ultimo aggiorname­nto Android e iOS, tre nuove funzioni per la condivisio­ne sui principali social network

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy